Milano La buona notizia per Silvio Berlusconi è che anche la Procura generale e la Corte d'appello prendono atto che ai giudici che lo avevano condannato nella primavera scorsa era, come dire, scappata un po' la mano: e quando gli avevano rifilato - insieme a quattro anni di carcere per frode fiscale - cinque anni di interdizione dai pubblici uffici non avevano soltanto sconfinato la legge, ma anche violato i criteri della proporzione tra accusa e sanzione. E dunque: ieri l'interdizione viene ricalcolata, e si ferma a due anni. Meno della metà di quella annullata dalla Cassazione. Uno in meno della pena massima, che la legge sui reati fiscali indica in tre anni.
A proporre lo sconto per Berlusconi è, a sorpresa, il procuratore generale Laura Bertolè Viale, che ha già rappresentato l'accusa nella edizione principale del processo al Cavaliere per i diritti tv, e che in genere con lui non si è mai mostrata tenera. La Corte d'appello, dopo una camera di consiglio assai breve, si allinea. A Berlusconi vengono inflitti due anni di interdizione.
Ma le buone notizie per il Cavaliere si fermano qui. Perché la rapidità quasi incredibile con cui ieri si consuma questa appendice giudiziaria del processo per i diritti tv - due minuti per la relazione, quattro per la requisitoria, un'ora per la sentenza - è la sintesi quasi simbolica della rapidità con cui la magistratura si prepara a sancire la sua fuoriuscita dalla vita parlamentare. Mentre in Parlamento la procedura per la sua decadenza dal Senato va avanti tra mille difficoltà, il percorso giudiziario si annuncia assai più sbrigativo. Tra quindici giorni le motivazioni della sentenza emessa ieri saranno depositate. A quel punto i legali dell'ex premier avranno a disposizione un'ultima carta, un nuovo ricorso in Cassazione, ma con margini di manovra assai risicati. Entro la fine della primavera la condanna potrebbe essere definitiva. E poiché più o meno per la stessa data è prevista la sentenza del tribunale di sorveglianza che lo assegnerebbe in prova ai servizi sociali per scontare l'anno di carcere (dei quattro anni inflitti, tre sono sospesi dall'indulto), lo scenario che si annuncia è quello di un Berlusconi non più senatore, bloccato nella sua residenza di Arcore e sottoposto ai vincoli dell'affidamento.
Per cercare di scongiurare questa prospettiva, ieri i difensori del Cavaliere hanno cercato di aprire un nuovo fronte, accusando due norme di essere incostituzionali. Una è la legge Severino, nella parte in cui ha un effetto retroattivo, escludendo dal Parlamento anche i responsabili di reati commessi prima della sua entrata in vigore. La seconda - e per presentarla Ghedini deve rivelare un dettaglio inedito - riguarda il contenzioso tra Mediaset e il fisco. È il contenzioso che ha dato origine al processo per frode fiscale, e che ora si scopre essere stato chiuso dall'azienda del Biscione con un accordo e il versamento di undici milioni di euro. Se il processo a Berlusconi fosse ancora in corso, l'accordo renderebbe impossibile la condanna alla pena interdittiva. Ma - dice in sostanza Ghedini - poiché Berlusconi non è più alla testa di Mediaset, non è colpa sua se l'accordo è stato fatto solo adesso, e la legge che non impedisce la sua condanna è incostituzionale.
Niente da fare: in un'ora di camera di consiglio, la Corte d'appello presieduta da Arturo Soprano stabilisce che entrambe le questioni sono manifestamente infondate, che il processo si può concludere, e che l'interdizione dai pubblici uffici adeguata alle colpe di Berlusconi corrisponde esattamente ai due anni chiesti dalla Procura generale.
Né il fatto che si tratti di un incensurato, né che le sue colpe siano lontane del tempo - tanto che il processo si è concluso sull'orlo della prescrizione - sono un buon motivo per essere più indulgenti, come pure avevano chiesto i difensori del Cavaliere. Prima delle undici è tutto finito. «Ricorreremo in Cassazione», conferma Ghedini.
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