Prodi butta la tessera Pd. E i cattolici minacciano di tornare alla Margherita

Il Professore annuncia che non voterà alle primarie, Renzi deluso. Fioroni furioso con Epifani che vuol aderire al Pse: "Errore grave"

Prodi butta la tessera Pd. E i cattolici minacciano di tornare alla Margherita

Roma - Come in quelle mattine nelle quali ti risvegli dolente e dolorante, reduce da una notte da incubi, e non sei contento che sia finita. Cioè lo saresti pure, se non fosse che il mondo ti sta crollando addosso e non puoi farci nulla, se non riflettere sulla tua fine. Consapevole che ogni tuo gesto ti avvicina al momento. Così il Pd sta, percosso e attonito, in attesa dell'ora.

La mesta sarabanda delle tessere «dopate» non aveva finito di effondere i propri miasmi, gli effetti indotti della ripetizioni di congressi, le autosospensioni, gli scioglimenti d'autorità, gli ispettori, gli scambi d'accuse, quando al quartier generale giungeva la notizia inattesa. Delle tante tessere sospette, della marea di tessere inutili, una sola manca. Prodi Romano, fondatore: quoque ille, nauseato dallo spettacolo, ha rinunciato. Con parole tenere, d'affetto, di circostanza, eppure ha detto basta. Mi ritiro dalla politica, ha spiegato, aggiungendo che lui, a votare alle primarie, proprio non ci pensa. Pietosa la coltre funeraria: «Non per polemica, ma non sono un uomo qualunque, se voto alle primarie devo dire per chi, come e in che modo». Mi tiro indietro, auguri a tutti, che tanti ci vadano, ai gazebo. Simbolica risposta al Matteo Renzi che, proprio in quelle ore, scriveva il suo primo messaggio agli iscritti urbi et orbi (soprattutto orbi): «Nessuno si tiri indietro». Ma non era neppure questo, il peggio della giornata. Ecco quindi il segretario Epifani, con la pazienza di una trattativa sindacale, riannodare le fila, spegnere i fuochi, dire stop alle polemiche (pur ribadendo di «aver agito correttamente» nel caso Cancellieri, ma senza citare Renzi). Parole misurate e delicate: «I problemi sono fisiologici, ok al partito leggero ma servono vincoli, non va bene un partito di esterni contrapposto a uno di iscritti». Quindi un appello ai contendenti: «Ora basta parlare di tessere, in questo mese succederà di tutto, i candidati si concentrino sui temi concreti». E una felice conclusione: «Tra febbraio e marzo avremo l'onore di organizzare a Roma, per la prima volta, il congresso del Pse. Segno di appartenenza che dice quali sono le nostre radici e i nostri legami».

Non fanno in tempo le agenzie a battere la notizia, come si dice in gergo, che la frase invece s'abbatte come ennesima clava sul moribondo. Brusco è il risveglio degli ex dc. Pierluigi Castagnetti: «Non mi pare che il Pd abbia mai deliberato di aderire al Pse». Beppe Fioroni: «Organizziamo il congresso del Pse perché siamo un'agenzia di grandi eventi? Chi lo ha deciso, quando e dove? È una mutazione genetica, un blitz pericoloso e grave, con il quale viene meno l'atto fondativo del Pd. Il partito di centrosinistra diventa di sinistra, errore gravissimo. Allora è annullato anche lo scioglimento della Margherita». La parola a stento trattenuta torna a sventolare la sua falce inesorabile: scissione.

Parlate di temi concreti, aveva raccomandato Epifani, dimenticando però che nel Pd non si può: la coperta è corta e piena di nodi. Civati torna a chiedere la fusione con Vendola, Renzi insiste per «i voti di chi sceglieva gli altri», Cuperlo esalta la «sinistra che non ha paura di essere se stessa e che vince a New York, perché noi non siamo il volto buono della destra... Noi siamo la sinistra.

E rivendicare l'impianto di Blair non significa chiudere il ventennio che ha portato a questa crisi, ma ripeterlo. Il ventennio invece va chiuso. La notte va a finire, è quasi mattina, noi siamo l'alba». Alba indolenzita e dolente, a due passi dalla separazione.

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