di Per criticare una categoria niente di meglio di chi ne ha fatto parte fino a ieri. Si è così consumata la strana guerra fra Monti e i professori, bacchettati dal premier nell'intervista rilasciata ai microfoni di Fabio Fazio. Secondo il premier il personale della scuola si è «arroccato nel suo corporativismo» rivelandosi «indisponibile a lavorare quelle poche ore in più che avrebbero garantito miglior didattica e cultura». Insomma, una bocciatura a pieno titolo del Professore ai professori, con in più la velata (ma nemmeno tanto) accusa di strumentalizzare gli studenti perché «i corporativismi spesso usano anche i giovani per perpetuarsi e non adeguarsi ad un mondo più moderno». Come era facile da prevedersi le reazioni non si sono fatte attendere e i sindacati sono insorti, difendendo la «categoria più sottopagata di Europa» e accusando il premier di «non aver capito nulla della riforma». Tutto secondo copione, ma come stanno davvero le cose? Tutto ruota attorno al concetto di produttività (o di competitività) di cui tutti parlano ma che sembra essere stato capito ben poco. L'«agenda europea» tracciata dalla famosa lettera della Bce diceva che «il governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi». Difficilmente un concetto poteva essere più esplicito. Il governo nella scuola tentava semplicemente di attuare il suo mandato che, per quanto riguarda il lavoro, consiste nel deflazionare l'economia riducendo gli stipendi. Il piano alternativo prevede invece l'aumento delle ore di impiego. Non si scappa, o paghi di meno o lavori di più. Se per il privato il piano è miope (è produttivo chi vende, non chi produce magari tantissimo ma a prezzi fuori mercato) è indubbio che nel pubblico impiego, intensamente sindacalizzato e il cui «prodotto» è al riparo dalle leggi di mercato, vi siano ampi margini di recupero di efficienza e di valorizzazione del merito, che esiste ma che mai viene riconosciuto. Qual è il professore «eccellente»? Semplificando, ci sono due categorie (che spesso coincidono): quello bravissimo nella didattica e il grande lavoratore sempre disponibile a supplire alle carenza dei colleghi meno volenterosi. Il primo è praticamente invisibile, perché ogni tentativo di attribuire un peso alle valutazioni degli studenti è sempre stato definito dalla corporazione degli insegnanti poco meno di un sacrilegio. Il secondo non avrebbe avuto svantaggi da un prolungamento dell'orario lavorativo in quanto già solito lavorare di più del minimo sindacale. Difficile pensare quindi che gli «eccellenti» siano stati in prima fila nelle proteste per le riforme, così come probabilmente non lo saranno quando (e se) si tenterà di introdurre seriamente la meritocrazia per premiare i più bravi. Rimane quindi il vasto mondo dell'immobilismo sindacale, che pensa ancora che i soldi saranno disponibili ancora per tutti e per sempre una volta vinto l'agognato concorso, indipendentemente dal merito.
La «categoria più sottopagata d'Europa» dovrebbe sapere che sottopagato significa che per quella mansione si percepisce un salario inferiore a quello richiesto dal mercato: ebbene, parlando di domanda e offerta, all'ultimo concorso per 11mila cattedre si sono presentati in 300mila, in gran parte qualificati. Un po' difficile per chi ha il posto fisso pretendere di passare per perseguitato.Twitter: @borghi_claudio
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