L o sfregio al grande vecchio del sistema bancario italiano. E la profanazione di un istituto di credito, Ubi Banca, solido come una fortezza anche in tempo di crisi. Così, fra esposti e perquisizioni, prende corpo l'indagine della Procura di Bergamo che getta un'ombra sull'operato di Giovanni Bazoli, un pezzo pregiato della storia finanziaria italiana. Quasi un monumento vivente. E invece, superata la veneranda soglia degli ottant'anni, il fin qui immacolato Bazoli è costretto a difendersi come un qualunque banchiere rampante. Arriva davanti al teatro alla Scala, uno dei luoghi del suo impegno, e rilascia una dichiarazione che esprime il disagio per la prova inattesa: «Ho sempre rispettato e difeso la magistratura e quindi per coerenza devo rispettarla anche nel momento in cui vengo interessato da un provvedimento che mi sorprende profondamente avendo io sempre testimoniato nella mia vita e nei miei comportamenti una totale e leale osservanza alle leggi». Ostacolo all'attività di vigilanza. Questa l'accusa a Bazoli che riguarda i patti parasociali stipulati nel 2007, fra la componente bresciana e quella bergamasca: patti segreti che costituirebbero una sorta di peccato originale, una macchia della nascita di Ubi Banca.
Un capo d'imputazione che inevitabilmente rompe gli equilibri nei salotti della finanza italiana. E che fa ancora più rumore perchè entra nel fiume di un'inchiesta che conta una quindicina di indagati e tocca anche la gestione spregiudicata di beni di lusso. Yacht e aerei, come quello appartenuto a Lele Mora e su cui erano saliti personaggi come Kevin Costner e Leonardo Di Caprio. Così Bazoli si trova fianco a fianco con Giampiero Pesenti, a sua volta colpito in questo secondo filone e sotto inchiesta per truffa e riciclaggio.
La sensazione è che questo pezzo dell'indagine sia più corposo dell'altro, ma nel decreto di perquisizione la procura di Bergamo non risparmia nessuno. Nemmeno le presunte manovre di Bazoli per blindare la governance dell'istituto che oggi è, per capitalizzazione, il terzo d'Italia. «Sussisterebbero - scrivono i magistrati nelle carte pubblicate dal Messaggero - patti vigenti fra l'Associazione Banca lombarda e piemontese di Brescia, facente capo a Bazoli, e l'Associazione amici di Ubi Banca, facente riferimento a Zanetti, non denunciati alle istituzioni di controllo, per determinare la governance del gruppo». Dove Zanetti è Emilio, punto di riferimento dell'anima bergamasca di Ubi Banca.
Per la magistratura i patti segreti avrebbero imbrigliato altri soggetti estranei alle due associazioni, favorendo una gestione poco trasparente della banca. Il riferimento va naturalmente all'aumento di capitale, avvenuto nel 2011, e alla nomine dei vertici. Ma Bazoli e gli altri dirigenti nel mirino non ci stanno: i patti non erano affatto segreti, anzi erano stati comunicati nel 2007 alla Banca d'Italia, alla Consob e al tribunale. Tutto regolare, dunque. Di più: una bolla di sapone, soffiata per spirito di vendetta.
Certo fra il 2012 e il 2013, l'opposizione interna si fa aggressiva e recapita in procura esposti e denunce. La storia del patto segreto comincia lì, dalle parole acuminate di Giorgio Jannone, ex parlamentare del Pdl e presidente delle Cartiere Pigna che si era candidato senza successo ala guida dell'istituto di credito, e di Elio Lannutti, di Adusbef. Le minoranze, battute alle elezioni per il consiglio di sorveglianza nel 2013, e confinate in 5 poltrone sulle 23 disponibili, puntano ora alla rivincita per via giudiziaria.
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