Quel trattato sulle donne tutto pasticci e ipocrisie

Il Senato ha approvato all'unanimità, così come aveva fatto la Camera, la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza (...)

(...) nei confronti delle donne e la violenza domestica».
Prima dell'Italia era stata ratificata da Albania, Montenegro, Turchia e Portogallo. Affinché abbia valore, è necessaria la firma di almeno altri 5 Paesi europei. Perché allora il silenzio assordante degli altri 23 Paesi - tra i quali, per dire, le progressiste Spagna, Francia, Germania - che pure hanno firmato nel 2011 e a oggi non hanno ancora ratificato?
La Convenzione prevede che i Paesi del Consiglio d'Europa che la condividano, debbano inserire, nei loro codici, nuovi reati di violenza e che adottino misure di prevenzione, protezione e supporto delle vittime, che ci sia l'effettiva persecuzione e condanna dei colpevoli, e che si attuino politiche adeguate per prevenire i fenomeni di violenza domestica e contro le donne in genere, ma anche per eliminare ogni forma di discriminazione.
Il senso di questa convenzione, e delle misure preventive e sanzionatorie che gli Stati firmatari si obbligano ad attuare, sta nel riconoscere che la violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione, ma anche «una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali fra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulla donna e alla discriminazione...».
E nel riconoscere altresì che «la violenza contro le donne... ha natura strutturale in quanto basata sul genere... è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata... ».
Ebbene, malgrado l'importanza degli obiettivi, ho la sensazione che vi sia qualcosa che non vada. Intanto queste approvazioni all'unanimità, senza che i parlamentari abbiano ascoltato le relazioni introduttive, mi sanno di consenso peloso. Privo di convinzione e di certezze sul fare, ma opportuno per sponsorizzare la dormiente attività politica. Dal punto di vista strettamente giuridico, infatti, quanto meno in riferimento alla nostra Costituzione, in teoria non ci sarebbe bisogno di altri leggi. Perché, proprio contro la violenza, ce ne sono già tante. Basterebbe che funzionassero bene forze dell'ordine, pubblici ministeri e giudici. Sarebbero sufficienti la tempestività del giudizio e la certezza della pena. Diventa ridicolo e paradossale regolamentare tutto ossessivamente, inventare tutele esasperate ad personam e poi non avere i mezzi per attuare gli obiettivi.
Questa maniacale difesa della donna come donna, rischia, per di più, di trasformarsi in neorazzismo di genere, anche per l'idea propugnata di punire in modo più grave il «femminicidio». Perché? La nostra Costituzione impone la pari dignità sessuale. E poi sono convinta che un uomo non uccide la moglie, la fidanzata, la ex, in quanto donna, ma per il suo ruolo. E altrettanto sanno fare le donne a danno dei loro uomini. Allora vogliamo definire questi delitti amoricidi? O coniugicidi? No, sono delitti e basta; da punire possibilmente con l'ergastolo, nella speranza che ci siano pm e giudici consapevoli della loro responsabilità istituzionale.
Anche i numeri lasciano perplessi: in Italia siamo 30 milioni circa di donne; in media ogni anno ne vengono uccise 150 (meno di quando «vigeva» il delitto d'onore), delle quali buona parte non perché donne, ma perché familiari o ex, o commercianti, o pedoni o altro. Ci sono più donne che muoiono in incidenti stradali o domestici, di quante muoiano per la «natura strutturale della violenza contro le donne».
C'è poi una contraddizione strana: nell'articolo 1 si dice «contribuire a eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi», ma nell'articolo 4 «le misure specifiche necessarie... non saranno considerate discriminatorie». Come si può eliminare la discriminazione, avallandola?
Insomma, è orrendo pensare a una donna uccisa; ma pure a un uomo, o a un gay. Senza che vi sia differenza di sesso tra carnefice e vittima. Continuare a promuovere la differenza, impedisce che si arrivi alla concreta parità, de iure et de facto.
Finirà che le povere vittime della violenza e i loro parenti, forti della Convenzione, invocheranno speranzosi l'articolo 56 per ottenere protezione, giustizia, assistenza. Ma lo dovranno fare diventando loro stessi assidui stalker di giudici, assistenti sociali, medici, case di accoglienza. Perché purtroppo non esiste una convenzione che ci difenda dal silenzio, dall'inanità, dalla lentezza e dall'inefficienza di qualsiasi istituzione.

segue a pagina 18

di Annamaria Bernardini

de Pace

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