Quell'irresistibile tentazione di non fare più del bene

La tragica fine della dottoressa falciata da un'auto mentre soccorre un ferito fa vacillare la certezza che aiutare il prossimo paga. E il nostro fragile altruismo

Quell'irresistibile tentazione di non fare più del bene

Adesso il Consiglio regionale della Lombardia la ricorderà, consegnando un'onorificenza ai familiari. Eleonora Cantamessa, la dottoressa morta perché investita da un'auto mentre soccorreva i feriti di una rissa, domenica sera a Chiuduno (Bergamo), avrà un «premio». Bello. I familiari di Eleonora hanno consegnato al mondo una giovane donna di quarantaquattro anni col senso del dovere e della giustizia, e in cambio avranno un pezzo di carta pieno di aulici aggettivi destinato a ingiallirsi nella sua sobria cornice.

Non è colpa del Consiglio regionale, ovviamente. Che a questo punto fa quello che (burocraticamente) può fare. E non è neppure colpa di Eleonora, ovviamente, che ha fatto tutto ciò che chiunque si augurerebbe un medico facesse (o anche solo una buona persona con coscienza) e che ci auguriamo tutti la brava gente continui a fare, anche dopo questa storia orrenda.

Però è come il rumore delle unghie sulla lavagna, la morte di Eleonora (oltre ad essere anche molto peggio). Si è infilata pulita in uno sporco pasticcio di altri. Ed è morta male, in una manciata di minuti inutili. Certo il suo gesto avrebbe potuto sortire in maniera completamente diversa. E i titoli dei giornali su di lei avrebbero potuto essere completamente diversi. Eleonora avrebbe potuto fare la differenza e salvare qualcuno: il ragazzo pestato a morte sul ciglio della strada (pare, visto l'arresto di ieri del fratello per una banale, violentissima lite familiare). Avrebbe potuto soccorrerlo in tempo e salvarlo e soprattutto salvarsi, e allora sarebbe stata un'altra magica storia, come quella del camionista romeno che qualche giorno fa si è messo di traverso col suo tir per fare da scudo a una bambina catapultata fuori dall'auto del padre in un tamponamento sull'A4.

Però non è andata così. E allora vengono in mente un sacco di altre cose sulla vita buttata via di Eleonora, in una manciata di minuti orrendi e inutili. E certo, se non ci fossero quelli come loro, come il camionista Ion Purice (corpulento, sorridente, papà di un piccino di tre anni) o come la dottoressa Eleonora Cantamessa (single, bionda, stimata, carezza granitica per le mamme partorienti del paese) il mondo non sarebbe mai autorizzato a sperare in un lieto fine. Nessuno potrebbe più sperare di potersi mettere in guerra col destino. Nessuno potrebbe, strizzando gli occhi terrorizzato, affidarsi, lanciarsi in quell'irrazionale preghiera a labbra strette «ti prego, ti prego, ti prego, fai che qualcosa, qualcuno...» per poi spegnere tutto, senza sapere più nulla e confidare davvero nel fatto che una come Eleonora arrivi, che un volante sterzato all'improvviso, un tir lanciato apposta di traverso, una coscienziosa laureata in ginecologia, vengano a chiudere quella nostra preghiera a labbra strette per farla finire bene. Per svegliarci dal nostro tempo che non è ancora arrivato, malgrado il cielo nero. Per portarci lontano da dove, in quell'attimo buio, abbiamo avuto il terrore di finire.

Quelli come Eleonora che adesso non c'è più, ci fanno sognare di poter cadere su qualcosa, su qualcuno, e di poterci lasciare andare anche quando pensiamo di essere già andati, per sempre. Confidando di essere presi per mano, tirati su dal fondo, di nuovo nella vita coi polmoni pieni di acqua o del fiato di in un'apnea cattiva. Tirati per i capelli da qualche angelo in carne ed ossa e caschetto biondo e occhiali quadrati e senso del dovere. Qualcuno che ci avrebbe risputati sporchi di morte nella vita.

Ma Eleonora si è sacrificta per niente e per nessuno. Non ha salvato chi soccorreva e non ha salvato nemmeno se stessa (che certo non pensava di dover salvare).

Ed è così che ci ha fatto esplodere la rabbia dentro all'ammirazione. La rabbia per quello che avrebbe potuto, dovuto essere. Un epilogo tutto sbagliato, invece. Con un pezzo di carta, oggi, a risarcire chi ha regalato al mondo una persona giusta.

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