Roma - Matteo Renzi si iberna, in attesa di quello che gli interessa di più, cioè la candidatura a presidente del Consiglio. È deluso dal suo partito. Da ieri, ancora più outsider, nel Pd. In rotta di collisione con il capo dello Stato e anche con il governo di Enrico Letta che dice di sostenere, ma al quale regala una raffica di critiche, se possibile, più pesanti di quelle dei giorni scorsi. Teatro dello sfogo del sindaco di Firenze, la trasmissione Bersaglio Mobile su La7. Troppe interviste? La risposta al conduttore Enrico Mentana e a Marco Travaglio (con il quale ha trovato una sintonia fino a ieri inedita) è netta: da oggi parlerà meno. Mai di governo. «Da domani mattina l'alibi Matteo Renzi non c'è più», ha detto, «facciano quel che devono fare. Se riescono bene. Sia chiaro che io non sono più nella discussione, non mi vedrà fare mezza dichiarazione. Quel che dovevo dire l'ho detto». Ce l'ha con il Pd: «Mi chiamano solo in campagna elettorale e poi mi dicono vattene. Basta! Da domani non esisto più per loro».
La realtà è che Renzi è deluso perché quella che è stata definita la sua «prima spallata» al governo, prendendo spunto dal caso kazako, non è andata bene. L'uscita di Napolitano ha chiuso i giochi e, anche se lui dice di non essere sorpreso dal richiamo del Quirinale e di essere convinto che si riferisse a tutto il Paese, sa che non avrà davanti a sé molte altre occasioni.
Il governo Letta resta in carica. Lui dice che va bene così e che se lo augura «da Italiano». Ma poi rifila all'amico premier una serie di colpi da leader di opposizione. «Dicono che io sto logorando il governo? Ma si logora da solo». E ancora: «Il governo si definisce governo del fare spero non diventi il governo del rinviare». Ma fino ad oggi Letta ha fatto bene? «Ho rispetto profondo della situazione che dobbiamo affrontare ed è evidente che il governo è in una fase un po' difficile». Detto questo, l'esecutivo deve smettere «di discutere di quanto durare. «Quanto dura me lo chiedo del telefonino. Il governo è cosa fa. La voce del verbo durare non si addice a un governo, si addice la voce del verbo fare. Invece c'è una sorta di pensiero istantaneo per cui dice intanto duriamo poi rinviamo e alla fine facciamo. Io per l'Italia spero che il governo faccia». L'accusa di doroteismo da ex Dc a ex Dc è servita.
E restano in piedi tutte le accuse che l'esponente democratico ha rivolto all'esecutivo sul caso kazako. Sbagliati i retropensieri sulla sua posizione. Il suo giudizio sul caso della famiglia del dissidente rimpatriata è da giudicare nel merito e non alla luce della lotta interna al Pd.
«In questa nostra discussione la buttiamo sempre in politica. Prima di ragionare di cosa accadrà ad Alfano o Letta possiamo spendere una parola per dire che abbiamo fatto una figuraccia come Paese e non è la prima?». Poi «Non c'è un politico che ha sbagliato...», ha insistito. Per il G8 «il ministro Fini non ha pagato» e l'allora «capo della polizia è presidente di Finmeccanica. Non possiamo dare il messaggio ai giovani che pagano solo i pesci piccoli. Qualcuno può dire se abbiamo fatto bene o abbiamo sbagliato?». Glissa quando gli chiedono se voglia le dimissioni del vicepremier e ministro dell'Interno. Ma poi attacca: «Se Alfano sapeva ha mentito e questo è un piccolo problema, se non sapeva è anche peggio».
La battaglia per il partito non c'è più.
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