«Su Marte? Perché no». Un giorno Luca Parmitano passeggerà sul pianeta rosso, rimbalzando lentamente, come alla moviola, per qualche giorno tutte le televisioni del mondo lo intervisteranno, poi parleranno con il vicino di casa, con il fruttivendolo all’angolo, con il suo vecchio compagno di scuola e con il primo che passa pronto a giurare «io lo conoscevo bene». Questa storia andrà avanti per un paio di mesi. Poi, probabilmente, ce lo dimenticheremo lì. Come se Marte fosse Ostia o Rimini e lui solo uno dei tanti che è andato in vacanza da qualche parte e non è ancora tornato.
Magari non ve ne siete accorti, ma l’avventura di un’astronauta italiano nello spazio ci sta scivolando addosso. Non ci tocca più di tanto. È quasi scontata. Tutto ci riporta lontano dal cielo, come se questa pallosa gravità degli affanni quotidiani ci spingesse giù, nel fango, nelle solite storie, nei battibecchi politici di mezz’estate, con le tragicomiche kazake a tenere la scena e il che cade e non cade. Calderoli, il ministro Kyenge, Letta, il decreto del fare e del farò, Alfano, i rimborsi a cinque stelle, Renzi, il partito, le regole, Saccomanni, l’Europa dice che, le colombe, i falchi, la Santanchè, l’ultimo fondo di Sartori, l’Imu si, l’Imu no, l’Imu boh, Grillo, Napolitano, Monti, perfino Casini, perfino Moratti e l’acquirente indonesiano, chissà signora mia se piove pure agosto, oh madonna questo caldo già non si sopporta più: questo, tutto questo, vale più di un sogno. C’è un uomo che passeggia nello spazio, in una stazione orbitante che dovrebbe avere tutto il fascino di Star Trek ma per questa penisola raggomitolata nelle proprie ansie e paure non c’è nulla di straordinario.Niente. Neppure un sussulto. Neppure quando Parmitano rischia la vita. È lì che cammina nel cielo, con lo stesso passo di Michael Jackson, e sente qualcosa di umido che scorre lungo la nuca. Pensa che sta sudando. Ma c’è qualcosa che non va nel pesante scafandro bianco. No, non è il sudore. Houston c’è un problema. «Ho tanta acqua nel casco, l’ho assaggiata e non si tratta di acqua potabile». Si è rotto ildrink pack , il serbatoio di acqua.C’è una perdita,quasi come in un condominio e anche lassù gli idraulici quando servono non si trovano mai. Solo che tutto questo non è uno scherzo. Non è una fiction e neppure un Grande Fratello. Parmitano è uno scienziato, un avventuriero, un pioniere, un eroe. Forse in altri tempi ne avremmo cantato le gesta, come un Astolfo a cavallo del suo Ippogrifo. Ma ci vorrebbe messer Ariosto con tutte le sue corbellerie, un Verne, o perlomeno Salgari, capace di immaginare l’altrove e l’esotico senza spendere neppure il prezzo del biglietto. Non noi. Senza più leggerezza, con la fantasia stremata da vent’anni di chiacchiere sulla necessità delle riforme e in attesa idiota che prima o poi finisca l’era del Porcellum.
Oppure, semplicemente, qualcosa si è spezzato. Forse quella notte del 1969 ha spento la luna. Non più dea, non più madre, non più la compagna di un pastore errante nell’Asia. Non più meraviglia. Non più fantascienza. Ma solo un pezzo di roccia desolato, con troppi crateri e una bandiera a stelle e strisce dimenticata e fuori mercato per i collezionisti. Il sospetto è che avesse ragione Flaiano. Parmitano è un marziano a Roma. Oppure tutta la nostra fantasia l’abbiamo consumata da bambini con Spazio 1999 e/o 2001 Odissea nello spazio tutti sogni, come si vede benissimo dal calendario, già consumati. Forse la colpa è di Goldrake, di Vega e del ministro delle scienze Zuril. Oppure Parmitano, il pioniere,l’esploratore, alla fine ci sembra troppo vicino, troppo terrestre, perché bene o male per sapere come sta basta leggere i suoi messaggi via twitter. L’unica cosa certa è che non sappiamo più guardare in cielo. Deve essere questo torcicollo cosmico, effetto collaterale del buco nell’ozono. Non c’è ragione altrimenti di grufolare in basso concionando di Calderoli.
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