Renzi alla guerra delle regioni: il piano del governo per tagliare le spese folli

Renzi si appresta a riordinare competenze e spese delle Regioni: una materia che negli ultimi 15 anni ha provocato scandali e spese pazze

Palazzo dei Normanni, sede dell'Assemblea regionale siciliana
Palazzo dei Normanni, sede dell'Assemblea regionale siciliana

Matteo Renzi alla guerra delle Regioni? Forse l'espressione è eccessiva, ma di sicuro nel progetto di riforma del Titolo V della Costituzione è in programma una robusta cura dimagrante per le competenze e le autonomie regionali. Oltre al dichiarato obiettivo di giungere all'abolizione delle province, il presidente del Consiglio punta ad alleggerire in maniera consistente il conto salatissimo che ogni anno le spese delle Regioni presentano alle famiglie italiane.

La riforma del 2001, che in nome del federalismo doveva trasferire competenze dallo Stato alle venti Regioni, nei fatti ha spesso prodotto uno sdoppiamento di competenze, con relativo aumento delle lungaggini burocratiche, delle norme e, naturalmente, dei costi per il cittadino. Oltre al dualismo venutosi a creare tra potere centrale e autonomie regionali, ci si sono messi pure i particolarismi delle singole regioni, che non hanno rinunciato a muoversi ciascuna nella propria direzione, senza alcuna efficace politica di coordinamento: così accade che il Piemonte sviluppi campagne pubblicitarie per promuovere il "Made in Piemonte nel mondo", mentre la Campania investe milioni di euro all'anno nell'affitto di una prestigiosa sede di rappresentanza a New York.

Tutti ricordano le pubblicità della regione Calabria riprodotte sui taxi londinesi, mentre in pochi conosceranno l'episodio dell'incontro tra la governatrice friulana Debora Serracchiani e il presidente dell'Azerbaigian Ilham Alieyv, organizzato per promuovere l'esportazione delle barbatelle di San Giorgio della Richinvelda tra i contadini del Caucaso. Come racconta Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, il piano del governo sembrerebbe muoversi, finalmente, nella direzione di un ridimensionamento di questi eccessi: il disegno di legge costituzionale pubblicato sul sito del governo illustra infatti i previsti tagli a settori le cui competenze sono state gonfiate a dismisura, come la strategia di promozione del turismo, che tornerà ad essere di competenza statale, come anche il commercio con l'estero. Dovrebbero sparire quindi (o subire drastiche cure dimagranti) tutti quegli uffici, rappresentanze e ambasciate delle regioni che hanno portato Confartigianato a comunicare come nel periodo 2001-2009 le Regioni abbiano speso in media quasi un miliardo di euro l'anno per la promozione del turismo, con il risultato di ricavare appena il 4,1% del pil da un settore che dovrebbe essere trainante per l'intera economia nazionale.

Sotto il controllo dello Stato dovrebbero tornare anche le "norme generali sul governo del territorio e l'urbanistica", sino ad ora complicate da una selva di normative diverse tra loro e in continuo aumento, come anche il "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario", travagliato in gran parte dai medesimi problemi. Dal 1997 ad oggi, segnalava appena qualche giorno fa la Cgia di Mestre, le imposte locali sono aumentate del 200%, frutto di un decentramento fiscale non adeguatamente bilanciato da trasferimenti da parte dello Stato.

Infine i nuovi provvedimenti del governo dovrebbero fissare un tetto agli stipendi degli organi regionali, che non potranno superare quelli dei comuni capoluogo della stessa Regione (si pensi che l'Assemblea regionale siciliana costa più di quel Senato della cui abolizione si continua a discutere); inoltre scatterebbe il divieto di trasferire contributi pubblici ai gruppi politici che siedono nei diversi consigli regionali, e che non di rado sono stati al centro di scandali provocati da spese pazze e ingiustificate.

Dalle mutande ai vibratori ai Suv, nell'elenco degli oggetti rimborsati con i soldi pubblici ai consiglieri regionali c'è veramente da sbizzarrirsi; per non parlare del numero dei dipendenti delle Regioni, che conosce variazioni consistenti da regione a regioni, sfiorando in più di un caso il ridicolo. In Sicilia, ad esempio, ci sono 3,8 dipendenti ogni mille abitanti, ma se si guarda a una regione virtuosa come la Lombardia questa cifra precipita allo 0,3.

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