Renzi sotto tiro incolpa i poteri forti

Il sindaco di Firenze teme le resistenze nel Pd ed evoca complotti. D'Alema: le regole non sono a suo uso e consumo

Renzi sotto tiro incolpa i poteri forti

Roma - Riuscirà mai il campione della schiera pidina ad arrivare sano e salvo al traguardo del Nazareno? Potrà, di conseguenza, procedere al balzo su Palazzo Chigi? Tale e tanta è la gioia espressa dai commilitoni in queste settimane che il tappeto di fiori steso davanti al cammino di Matteo Renzi risulta simpaticamente attrezzato di buche, lacci e salti della quaglia. Ormai chiunque del Pd debba introdurre il sacro nome di Renzi sta ben attento ad accompagnarlo con il beneaugurante appellativo di «risorsa»; accorgimento che, si capisce, ne aumenta a dismisura le possibilità, non solo dialettiche.
Segni e segnali che vengono analizzati a Palazzo Vecchio personalmente dal sindaco fiorentino, oltre che dal suo staff, e molti sono gli indizi, dal centro e dalla periferia, che cominciano a preoccupare. «In tanti si stanno riposizionando - dice uno stretto collaboratore -, dobbiamo stare ben attenti, in molti vorrebbero utilizzare il cavallo vincente». Il rischio di logoramento, dopo la lunga stagione partita dalle primarie, passata per l'infelice campagna elettorale e finita con un arduo equilibrismo di lotta e di governo, rende Renzi e i suoi quanto mai guardinghi e reattivi alle mille, infide lusinghe del partito romano. Ieri un fondo di Ernesto Galli della Loggia sul Corsera, assai critico, è come se avesse certificato l'apertura di (imprevisti?) fronti ostili. «Sappiamo che i poteri forti preferiscono mantenere la politica debole e fuori dai giochi. Uno come Renzi può dare assai fastidio», la tesi renziana. Il partito è cambiato, argomenta il deputato Angelo Rughetti. «Quella di Della Loggia è una foto vecchia, superata dai fatti... Se i candidati saranno i nomi di cui si parla, Matteo ha già vinto: si tratta di giovani e personalità che rappresentano se stessi e non altri. Il partito è a una svolta, sarà il primo congresso di gente mai stata né Ds né Ppi. Se Renzi fa quel che dice, sarà una rivoluzione». Cambiamento che trascinerebbe via con sé anche il governo, dicono gli altri. Ma Rughetti è assertore dell'esatto contrario: «Letta regge solo se Renzi va a fare il segretario e inizia la sua azione riformatrice col Pd. Altro che trampolino di lancio...».
Le resistenze nel gruppo dirigente, mascherate o no, sono però sempre più forti. E se il sindaco fiorentino si fa scudo della «norma statutaria» per la quale «chi vince il congresso è candidato premier» - ieri accennando alle manovre per cambiarla («attualmente così è prevista, domani chi lo sa») - ecco D'Alema intervenire per rimbrottarlo: «Lo Statuto l'abbiamo derogato per Renzi... Non vorrei che quando bisogna derogare per Renzi bisogna farlo, se non è per lui no... Mica possiamo sempre usare le regole per Renzi!». L'ex Capo rottamato (per qualcuno in predicato di diventare Lord protettore di Renzi sulla poltrona del Pd) prende decisamente posizione in favore dello sdoppiamento delle cariche. «Ora abbiamo bisogno di un segretario... Non conosco nessun partito al mondo che faccia le primarie per il candidato premier quando non ci sono le elezioni.

Sarebbe una stravaganza assoluta». Se è per questo, il Pd ha abituato a ben di peggio. Così l'idea di coinvolgere Letta nella nuova stagione è ormai più che un'idea. I renziani ci credono: «una poltrona per due», dicono. Magari a giorni alterni.

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