Riforma del Lavoro, Bersani avverte Monti: "Non accetteremo diktat sull'articolo 18"

Dopo lo schiaffo subito con la chiusura del tavolo sulla riforma del lavoro, Bersani avverte il Prof: "Io non accetto che Monti dica prendere o lasciare". Ma il Pd è sempre più diviso

Riforma del Lavoro, Bersani avverte Monti: "Non accetteremo diktat sull'articolo 18"

Non arriva al punto di minacciare il sostegno dei democratici al governo ma Pier Luigi Bersani, in una lunga appendice notturna a Porta a Porta, avvisa il governo dopo lo schiaffo subito con la chiusura del tavolo sulla riforma del lavoro.

"Io non accetto che Monti dica prendere o lasciare, è chiaro che noi votiamo quando siamo convinti, il testo va cambiato". È questo l’altolà del leader del Partito democratico, che per l’accordo si era speso a livello personale e che sull’articolo 18 si gioca anche la tenuta del partito, diviso tra chi, come Enrico Letta, non mette in discussione il sostegno a Monti e chi è pronto a votare "no". "Non morirò dando il via libera alla monetizzazione del lavoro", si era sfogato nel pomeriggio in pieno Transatlantico il leader Pd, deluso per come il governo abbia usato il mandato ricevuto nel vertice a Palazzo Chigi, stravolgendo un via libera al "modello tedesco in un modello americano" sui licenziamenti.

La tensione tra una parte del Pd, più sensibile alle proteste degli elettori di sinistra, e il governo raggiunge livelli di guardia. L’avviso di Rosy Bindi è forte e chiaro: "Questo governo può andare avanti se rispetta la dignità di tutte le forze che lo sostengono". Il "no" al governo sulla riforma del lavoro è una parola indicibile ma dentro il Partito democratico stesso le aree dei lettiani e dei veltroniani temono che Bersani, che sulla difesa dei lavoratori fonda la sua linea politica, possa rompere se la riforma in Parlamento non verrà modificata. "Bisogna essere fedeli agli ideali della propria gioventù", è la professione di fede del segretario Pd che boccia come entità che "non esiste in natura" l’ipotesi di un decreto ma è fiducioso che il governo non sia a rischio perchè il governo saprà ragionare con i partiti in parlamento.

Per evitare pesanti fratture interne, anche un moderato come Dario Franceschini, dopo un faccia a faccia con il segretario, alza il tiro nella speranza di modificare il testo: "Negli ultimi tempi c’è stato un uso un pò eccessivo del decreto legge, su una materia delicata come il lavoro bisogna procedere con un ddl". Al di là degli inviti all’unità, nel Partito democratico tutti sono coscienti che o la riforma sarà ammorbidita, introducendo il giudice anche per i licenziamenti economici, o una spaccatura al momento del voto possa significare la fine del partito democratico. Secondo i calcoli tra parlamentari democratici, sarebbero una cinquantina i deputati "montiani" che, davanti ad una posta così alta per il futuro del Pd, non seguirebbero un eventuale voto contrario sulla riforma: il provvedimento passerebbe lo stesso ma il Pd andrebbe in frantumi.

Enrico Letta ammette il tornante decisivo per il Pd: "È un momento molto importante da cui verrà fuori la capacità del partito a pensare più all’interesse comune che alle singole aspirazioni personali". Per evitare il cul de sac, anche Massimo D’Alema, da tempo più defilato sulle vicende di attualità, si spende per cercare modifiche sull’articolo 18 che ritiene "confuso e pericoloso".

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