U na battuta. Tutto il caso Ruby, alla fine di un processo infinito, si riduce e ruota intorno a una frase: «Adesso ballo, poi mi spoglio e faccio sesso». Così disse Ruby alla sua amica Caterina. E poi, subito dopo: «Guarda che sto scherzando». Una delle innumerevoli vanterie di Ruby, o l'unica finestra sulla verità delle notti di Arcore. Per i giudici di Milano che hanno condannato Silvio Berlusconi a sette anni di carcere, non ci sono dubbi: «Ritiene il tribunale che debba essere esclusa la natura scherzosa della confidenza». In 331 pagine di motivazioni della condanna di Silvio Berlusconi (una sentenza «surreale» e «in totale contrasto con gli elementi probatori», il commento dei legali dell'ex premier Piero Longo e Niccolò Ghedini), è quello l'unico aggancio concreto - nel turbinio delle deduzioni e delle prove logiche - da cui tutto origina e tutto discende: la prostituzione di Ruby, il prezzolamento suo e delle altre ragazze, il panico di Berlusconi che tutto venisse scoperto, la telefonata in questura. L'arroganza di un uomo di Stato che usa il suo potere per coprire le proprie malefatte.
Pagina 278 delle 331 che ieri, dopo un lungo travaglio, il giudice Giulia Turri deposita. È lì che viene riportata la confidenza di Karima El Mahroug, alias Ruby, a Caterina Pasquino. È l'unica volta, e lo sottolineano gli stessi giudici, che Ruby ammette di avere fatto sesso con Berlusconi. Perché poi, nel tourbillon di verità e di balle della fanciulla marocchina, tra verbali, intercettazioni, confidenze, c'è una sola costante: «L'unico elemento della narrazione che rimane immutato riguarda il profilo della assenza di qualsiasi tipo di rapporto sessuale tra la dichiarante e Berlusconi». Ruby nega, ma nega perché è pagata. «Ritiene il tribunale che inizialmente la ragazza abbia tenuto nascosto di svolgere la propria attività di prostituzione per cercare di salvaguardare così la propria immagine e che poi abbia mentito perché pagata dall'imputato per farlo». Ruby mente come secondo i giudici hanno mentito in tanti, le Olgettine, gli uomini della scorta, i collaboratori, tutti candidati all'incriminazione.
Ma cosa resta, depurato dalle bugie e dalle verità di Ruby, a provare oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza di Berlusconi per i due reati che hanno portato alla sua condanna? L'unico porto franco, l'unico in cui la sentenza depositata ieri sembra affrontare serenamente il giudizio d'appello, è che ad Arcore qualcosa di increscioso accadesse. Lo dicono le sette testimoni che hanno raccontato di tette al vento, lap dance, strip tease sempre più espliciti, che i giudici ritengono credibili: nel solco di una prima prova logica, «la qualità delle partecipanti alle serate (tutte ragazze giovani, alcune delle quali prostitute professioniste) e la sproporzione tra gli ospiti di sesso femminile e maschile rendono evidente che gli incontri fossero finalizzati a soddisfare il piacere sessuale dell'imputato».
Ma poi? Una volta dato per assodato che non erano solo «cene eleganti», come si dimostra che Ruby ne facesse parte a pieno regime? Le motivazioni sul punto svicolano un po', ma poi affondano dando a Karima El Mahroug, senza tanti giri di parole, della meretrice: «Il complesso delle risultanze convergono nel fornire la prova del fatto che El Mahroug Karima esercitava l'attività di prostituzione in un periodo concomitante alla partecipazione della stessa alle serate presso la residenza dell'imputato a Arcore (...) il cui tenore caratterizzato da connotazioni sessuali a fronte dell'elargizione di ingenti somme di denaro è perfettamente in linea con la personalità e la condotta di vita della ragazza». In sintesi: ad Arcore si faceva sesso a pagamento; Ruby era una prostituta; e quindi, cos'altro poteva fare lì? Quanto in profondità si spingesse il suo contatto con il Cav, per i giudici non importa: «È del tutto irrilevante definire gli esatti contorni degli atti sessuali compiuti dall'imputato con la El Mahroug, non occorrendo per la sussistenza del reato in esame un rapporto sessuale completo, essendo invece sufficiente qualsiasi commercio del proprio corpo a carattere retributivo che sia oggettivamente tale da stimolare l'istinto sessuale del cliente. Lo spogliarsi, il ballare nude, scoprire il seno e le parti intime, mostrare le proprie nudità all'imputato, erano tutti comportamenti oggettivamente idonei a stimolare l'istinto sessuale di Berlusconi».
E qualunque contatto ci sia stato tra lui e Ruby nelle serate del bunga bunga, Berlusconi lo realizzò sapendo di avere davanti una minorenne. È un passaggio chiave della sentenza, perché senza questa consapevolezza non sarebbe possibile la condanna. Anche qui, i giudici si attaccano a una chiacchierata telefonica di Ruby, una di quelle piene di frottole mirabolanti su Clooney o Ronaldo, nonché di accuse ai pm. «Io ho negato il fatto che Silvio sa che sono minorenne, gli ho detto che lui sa che sono maggiorenne perché non voglio metterlo nei casini». Ma ancora più della logorrea di Ruby, per i giudici a incastrare Berlusconi è Berlusconi stesso, con il suo agitarsi la notte che la ragazza venne fermata: «Se davvero non fosse stato al corrente della minore età della ragazza egli non avrebbe avuto alcun motivo di intervenire» sui vertici della questura milanese. Non era per nascondere le allegre serate di Arcore, che Berlusconi si inventò «la frottola» della nipote di Mubarak. Era per evitare che si scoprissero i suoi rapporti sessuali a pagamento con una minorenne, unico aspetto penalmente rilevante dei suoi comportamenti privati.
E fu così che si arrivò alle telefonate in questura, la fatidica notte del 27 maggio: con i funzionari, un po' vittime, un po' complici, un po' succubi, cui non rimane che affidare Ruby a Nicole Minetti. «La forte coazione psicologica», «l'enorme sproporzione dei rapporti di potere» non lasciarono scelta ai poliziotti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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