Sallusti: "La mia condanna? Colpa delle toghe"

Il direttore de il Giornale: "Pr diffamazione non si va in galera, hanno aggiunto la pericolosità sociale solo per potermi mandare in cella"

Il direttore del "Giornale" Alessandro Sallusti
Il direttore del "Giornale" Alessandro Sallusti

Il caso Sallusti continua a far discutere l'opinione pubblica. Il direttore de ilGiornale torna a difendersi e attacca i giudici che lo hanno condannato a 14 mesi di reclusione per diffamazione per un articolo non scritto da lui. "Il problema di questo Paese non sono le leggi sulla libertà di stampa, ma la magistratura che per mandarmi in carcere ha applicato un articolo del codice penale per potermi definire socialmente pericoloso".

Alessandro Sallusti, intervistato a In Onda da Nicola Porro e Luca Telese, non risparmia nessuno. Né la magistratura, appunto, che ha trovato il modo per condannarlo, né la politica che non ha cambiato la legge, né i colleghi giornalisti che urlano alla libertà di stampa, ma che "sarebbero più liberi se invece di attaccare solo Berlusconi, attaccassero tutti i poteri dello Stato". A partire da Napolitano, a cui il direttore non ha intenzione di chiedere la grazia perché "non ha fatto nulla nel suo settennato per mettere ordine e portare giustizia dentro la magistratura di cui lui è il capo". A partire dall'Ordine dei giornalisti, un organo "fascista" in cui una commissione formata anche da giornalisti pubblicisti giudica i professionisti.

Quello che ha subìto, insomma è un "abuso politico": "Tutti noi direttori abbiamo querele e siamo condannati per gli errori che facciamo tutti i giorni. Quello contro di me è un uso politico e demenziale della giustizia. Qualcuno di autorevole deve avere il coraggio di fermare dei magistrati dissennati. Il problema non è la durezza delle regole, ma che queste regole siano chiare e applicate nello stesso modo su tutti", ribadisce Sallusti, "Sono sicuro che sia la corte della magistratura che la corte dell'Ordine si sarebbero comportati in modo diverso se fossi stato di un altro giornale". A chi gli fa notare che da tempo la politica poteva cambiare la norma, il giornalista fa notare che non è stato condannato per la diffamazione: "Per diffamazione non si va in galera. Hanno aggiunto la pericolosità sociale". Anche per questo non intende chiedere l'affidamento ai servizi sociali: "Significherebbe ammettere di aver bisogno di essere rieducato. Credo che i miei genitori abbiano fatto un buon lavoro, non ne ho bisogno. In più dovrei redimermi da un reato d'opinione. Cioè dire di aver cambiato opinione. Una cosa che accadeva nei lager".

Sulla vicenda in sé, Sallusti ricorda che "non è tecnicamente possibli controllare tutte le battute del giornale": "Un direttore deve rispondere di omesso controllo solo se viene certificata la sua partecipazione attiva nella pubblicazione di un errore. Un quotidiano fotografa la giornata. La notizia era stata riportata da La Stampa e poi smentita dal magistrato all'Ansa. Ma a Libero non avevamo l'Ansa e ne eravamo all'oscuro". In ogni caso non crede di aver "commissionato" a Farina di invocare la pena di morte per il giudice: "Non è la mia idea, ma mi prendo la responsabilità di quella idea".

Per quanto riguarda l'aver permesso a un giornalista radiato di scrivere un commento, il direttore ricorda di essersi fatto convincere da Feltri: "La libertà di stampa è incomprimibile: anche il peggiore dei delinquenti ha il diritto di parola".

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