San Gennaro fa il miracolo al Pdl

NapoliFelicità sono gli infantili salterelli sul posto di Mara Carfagna, che pure ha studiato ballo classico alla scuola del teatro San Carlo e pure a New York. Felicità sono le ordinazioni crescenti di bottiglie di spumante e pasticcini per gli amici che crescono di ora in ora. Felicità è il tono contegnoso del commissario campano Francesco Nitto Palma, refrattario ad attribuirsi meriti. Felicità è la cavalleria del governatore Stefano Caldoro, quando il pensiero corre all'acerrimo nemico Cosentino: «Ecco dimostrato che non è un mostro, che non detiene pacchetti di voti da spostare a suo piacimento».
Nel giorno del ritorno di Maradona a Napoli, la squadra del Pdl fa il miracolo. In poco più di un mese passa dal «meno cinque» nei confronti del centrosinistra a «più otto». Tredici punti percentuali, «un'impresa che ha dell'incredibile, e il cui artefice ha un nome solo: Berlusconi», dice Nitto Palma. L'ubriacatura campana mescola dati e preferenze, e Silvio torna a essere Dieguito, «un talento naturale, che quando decide di giocare non ce n'è per nessuno, lo devi sapere: il gioco lo fa lui», esulta Caldoro, che sul parallelo Maradona-Berlusconi ci campa da anni, persino con uno spot elettorale che alterna gol fantastici e promesse magiche. Diego palleggia e Silvio spolvera la sedia di Travaglio, el pibe incanta e il Cav lascia di stucco con la restituzione dell'Imu. «Lui preferisce essere paragonato a Van Basten, lo so, me l'ha già detto... ma non c'è paragone. Diego è lui, il nostro fuoriclasse».
La rimonta campana stupisce, ma soltanto chi non ha seguito passo passo la costruzione della macchina infernale. Quella che, colpita dalle divisioni interne, ferita dalla vicenda Cosentino, turbata dalle accuse a Cesaro, ha serrato i ranghi, inspiegabilmente è diventata falange, ha ritrovato d'incanto molti dei voti perduti lungo il cammino. «Senza Berlusconi non ci saremmo riusciti - spiega Nitto Palma -, ma è chiaro che qui tutti hanno compreso che se restano uniti sono la prima forza della regione». Al commissario, origini agrigentine, è toccato il ruolo più arduo: smussare gli angoli, comprendere le ragioni, raffreddare i bollori. «Ho sessantadue anni, non mi lascio impressionare, riesco ad andare d'accordo con tutti e tutti mi rispettano», dice dopo essersi schermito. Ma forse solo uno che viene dalla terra di Pirandello poteva conciliare personaggi in cerca d'autore e verità formali e sostanziali, che non sono mai quelle che appaiono.
Così il voto dei campani lascia attonito e tramortito il Pd, che incurante dei tempi corrrenti ha imbottito le proprie liste di «paracadutati» da Roma e di qualche vecchia conoscenza in disarmo. Ma i campani deprimono fortemente anche l'onda giustizialista della lista Ingroia, qui crollata miseramente sotto il doppio uppercut dello scarso appoggio del sindaco de Magistris e, paradossalmente, del palpabile malcontento della gente nei confronti del sindaco di Napoli. E tra le verità meno apparenti ecco spuntare l'atteso tsunami anche qui dei grillini, che finora erano sempre restati al di sotto delle performance nazionali. «Bravi ragazzi», come li definisce la Carfagna, che pure non sopporta Grillo e che li attende al banco di prova parlamentare. Ragazzi come Roberto Fico, il capolista alla Camera, che accoglie la messe di voti senza soverchi turbamenti. «La partecipazione è il più grande successo che potevamo ottenere», dice in corretto politichese.

Dai partiti tradizionali che «hanno copiato e fatto propri in campagna elettorale anche temi nostri» s'attende che ora «li portino avanti assieme a noi... Abbiamo dimostrato che la politica può essere fatta senza soldi e da chiunque». Linfa vitale per la democrazia, sembrerebbe, se il cinismo non fosse moneta corrente.

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