«Basta imbecilli ha detto Vincenzo De Luca mi ricandido». Così il Pd di Elly Schlein finì fritto e mangiato come le celeberrime fritture di pesce di Franco Alfieri, fedele vassallo di don Vincenzo ora finito nella frittura mista della magistratura. L'intenzione del governatore della Campania di candidarsi per la terza volta è più che realistica mentre la sua idea di fermare i cretini sfocia nell'utopia: «Vaste programme» direbbe il generale de Gaulle. Meglio restringere il campo. La sanità, ad esempio. A che punto della notte è la situazione dello sfascio del sistema sanitario in Campania? Il VII Rapporto del servizio sanitario nazionale della Fondazione Gimbe è impietoso: la regione di De Luca ha il minor numero di medici e infermieri rispetto agli abitanti; la migrazione sanitaria cioè i campani che vanno a curarsi nelle altre regioni come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna aumenta sempre di più e in meno di dieci anni è costata circa 3 miliardi di euro; le famiglie campane che rinunciano alle cure sono, ormai, il 6%. Ce n'è quanto basta ma si aggiunga anche l'esperienza diretta sul campo per capire che la sanità in Campania è fallimentare. E siccome l'Autonomia differenziata non c'è non è possibile sostenere che la differenza tra la sanità in Campania e la sanità in Lombardia sia dovuta alla legge Calderoli. Il problema è proprio in Campania e dal momento che a Napoli e dintorni governa la sinistra praticamente da sempre, allora, il fallimento imbecilli o non imbecilli è tutto del Pd.
Fino ad oggi la vulgata usata per giustificare l'assenza dei medici era l'anatema di De Luca contro il numero chiuso per le facoltà universitarie di medicina. Ma ora in base ai dati sappiamo in realtà, lo si sapeva anche prima che l'assenza dei medici non è dovuta al numero chiuso bensì al rifiuto del personale, in sostanza, allo stesso decadente sistema sanitario e all'ambiente sociale, amministrativo e politico della Campania. Nella regione amministrata da De Luca e dalla sinistra non si viene a lavorare volentieri e i medici che hanno delle alternative, o in altri luoghi o in altre strutture, le preferiscono.
Verità amara, come la medicina, ma questa è.
L'idea che togliendo il numero chiuso alle iscrizioni accademiche dei corsi di medicina si avrebbero più medici è falsa: non è il numero a garantire i medici ma la concreta possibilità di formarli, che nei fatti è limitata. E una volta formati i medici se possono non scelgono la Campania o non scelgono il «pubblico». Del resto, fanno così anche i pazienti. Il problema, dunque, non è la formazione dei medici ma la reale amministrazione della sanità che ed è questo un ulteriore passaggio da tenere bene a mente non potrà essere garantita da alcuna normativa, passata o nuova, ma esclusivamente da una concreta e continua risposta amministrativa e finanziaria. Sarà un caso ma proprio nel settore sanitario emerge in modo evidente che i problemi sociali ed amministrativi non hanno alcuna possibilità di miglioramento sul piano legislativo ma solo sul piano degli atti. Esattamente come richiede la riforma dell'autonomia differenziata che postula e quasi invoca responsabilità e risultati, verifiche e buongoverno locale. Da questa realtà non si scappa dice il costituzionalista Mario Bertolissi nel libro Autonomia (Marsilio editori) che si consiglia di leggere rifugiandosi in astrattezze giuridiche che sono usate in modo pilatesco e come alibi.
Il caso del sistema sanitario campano, praticamente al tracollo, è emblematico: la generale «questione meridionale» diventa, allorché si passa a osservare il malato da vicino, «questione sanitaria», «questione scolastica», «questione lavorativa» e tutte si riassumono nella responsabilità della classe dirigente che per statuto ritiene di dover essere irresponsabile ossia senza risposte. È una storia fallimentare che si paga con l'emigrazione: ieri degli operai, oggi dei professionisti e perfino dei malati. Purtroppo, gli imbecilli restano.
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