Con il suo unico libro, Gomorra , best seller 2006, Roberto Saviano è diventato il guru d’Italia. Nessuno con così poco è salito su un podio tanto alto. Il successo ha dato fama all’autore napoletano ma lo ha anche messo nel mirino della camorra, tanto da vivere blindato. Così, è diventato prigioniero pure del suo personaggio, quello dello scrittore perseguitato per avere avuto il coraggio della verità, come San Paolo, Gandhi, Salman Rushdie. Da quella sola opera ha poi spremuto una serie di derivati- giornalistici, televisivi, cinematografici che trattano in varie salse l’unicotema che accende la sua fantasia: la malavita, l’impegno di combatterla, i nemici che lo ostacolano nella missione. Diventato un simbolo, Saviano è portato in giro per il mondo da imbonitori che lo utilizzano come testimonial di un’Italia buona contro una cattiva, ruolo che incarna con compresa partecipazione e soddisfatta coscienza di sé. Per cambiare, anche stasera è in tv per una tre giorni su La7. Con lui, Fabio Fazio, che gli ha costruito attorno lo show, Quello che (non) ho , ennesima variante della solita solfa. Buon divertimento.
Roberto era di 27 anni quando pubblicò nelle edizioni del caimano ( Mondadori) il romanzo-verità sulla malavita campana. Libri sullo stesso argomento pullulano, ma nessuno ha avuto il successone (quattro milioni di copie, traduzione in 53 Paesi) di Gomorra . La sua eccezionalità sta nella scrittura di Saviano. Ecco un brano indicativo della personalità dell’autore. Il tono è quello dell’unto del Signore. «Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove prendono l’odore. Io so cosa trasuda il profitto. Io so. È la verità della parola... Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa... Le prove sono inconfutabili, perché parziali... Io vedo, trasento, guardo, parlo e così testimonio. Io so e ho le prove». Bello, neh?! Un po’ sconclusionato,ma il senso è chiaro. Roberto sa, per scienza infusa. Trae le certezze da sé stesso. Le prove,ossia le pezze d’appoggio onde evitare di dire cavolate, non gli servono.Lui sa,perché sa.La perla del brano è: «Le prove sono inconfutabili, perché sono parziali». La triglia al cartoccio è salata, perché è sciapa. Adesso sapete con chi abbiamo a che fare: un Rambo della buona causa.
Col successo, Saviano è diventato l’emblema dell’intrepido che fronteggia la malagente a viso aperto. Per i legionari della legalità- grillini, dipietristi, ecc. - Roberto rappresenta la testa d’ariete con cui travolgere ciò che malfunziona in questo dannatissimo Paese. Stava per diventare un eroe del popolo, un Garibaldi del Duemila, quando di lui si è impossessata la gauche caviar che ne ha fatto invece un prodotto per terrazzi romani. In prima fila, la Repubblica , alla quale lo scrittore collabora. La direzione veglia su di lui come il manager su una star circense. È pronta a esaltarne le imprese, ma guarda che eviti atti contrari all’immagine che ha programmato di dargli. È targato Repubblica il famoso appello in favore dello scrittore costretto a vivere sotto scorta per le minacce malavitose. Il giornale, dandosi un gran daffare, riuscì a raccogliere diciassette firme di Nobel e 250mila di cittadini comuni per richiamare alle sue responsabilità lo Stato italiano (premier era il detestato Cav) «perché è intollerabile che questo possa accadere in Europa nel 2008». Saviano si lamenta spesso per la schiavitù della scorta. Però guai chi gliela tocca. Quando nel 2009, il capo della Mobile di Napoli, Vittorio Pisani, sostenne che non meritava la precauzione («Resto perplesso quando vedo scortate persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, magistrati e giornalisti»),Roberto fece l’offeso. Scrisse su Repubblica un’accorata articolessa sulla voce«stonata»di Pisani anche a nome delle guardie del corpo: «Getta discredito sul loro sacrificio…Stanno iniziando ad abbandonarci… Si dà la sensazione che nella lotta ai clan si sia prodotta una frattura forte ». Notate l’astuzia: fa passare per un cedimento nella lotta alla mafia la sola prospettiva che a lui possa essere tolta la scorta. L’argomento è tipicamente savianesco: chi tocca lui con una critica o un minimo dubbio, avvantaggia la malavita e se ne fa complice. In altre parole: io sono Saviano, l’incarnazione dell’anticamorra, chi non è con me è contro di me e sta con il male che io combatto.
Roberto, dunque, si considera uno spauracchio per i clan: «Quel che dà loro fastidio è che continuano a uscire libri e a nascere documentari, è questo che non vogliono, l’attenzione su di loro,i loro nomi, i loro affari». A suscitare però dubbi sulla sua certezza che i boss siano infastiditi dai riflettori, è la vicenda del film omonimo tratto dal suo best seller.
Gomorra, di Matteo Garrone, è uscito nel 2008 con un successo strabiliante. Quello che poi è avvenuto, lo è anche di più. Negli anni, l’ultima volta nel gennaio 2012, ben quattro comparse del film-assunte nel Casalese dov’è stato girato- sono finite ai piombi come affiliate ai clan. Cinque, se aggiungiamo l’autore di una canzone utilizzata [Ansa] nella colonna sonora. Non interessa se Garrone sapesse. Il fatto è che laggiù non si muove foglia senza il placet dei boss. E qui, svaporano le convinzioni di Saviano: se la camorra autorizza gli affiliati a contribuire a un film su se stessa, è segno che non teme affatto che ci si occupi dei suoi delitti. Delle due l’una:o considera la pellicola,e il libro che la ispira, bagatelle senza peso; o ama la pubblicità che gliene deriva, perché soddisfa la sua vanità e intensifica gli arruolamenti. Su questa incongruenza a Saviano non esce un fiato e continua ad atteggiarsi a eroe.
Furono il 1979 e Napoli a spartirsi l’onore di dargli i natali. Ma crebbe a Caserta dove il babbo, Luigi, fa il medico. Nella città della Reggia, il ragazzo prese la maturità scientifica, a Napoli si laureò in Filosofia. La mamma ha un nome esotico: Miriam Haftar. È un’ebrea ligure. Sul ligure, c’è però un’ombra. In una conferenza, a Trento, Roberto straparlò di maneggi della ’ndrangheta sulle mele della Val di Non (con quattro telefonate, la magistratura stabilì che era una balla) e disse pure che la mamma era trentina. Ma, se tanto mi dà tanto, si può pensare che quel giorno si fosse inventato tutto, prima la ’ndrangheta, poi la trentinità della mamma per accattivarsi l’uditorio. Dunque, ligure.
Quanto alle ascendenze bibliche, fu l’inviato di Haaretz a scoprire un inedito: l’educazione ebraica di Roberto. L’israeliano si incuriosì quando lesse sul blog di Saviano: «Ho origini ebraiche». Per saperne di più,lo intervistò.«Ho scritto questo? », chiese Roberto, fingendo di cadere dal pero. Poi, smise di fare il bambolo e raccontò: «Ho origini sefardite. Mio nonno mi ha insegnato la Torah. Ero molto attratto da Sabbatai Zevi (XVII secolo, ndr ) e dal movimento anarchico ebraico. Questo è l’ambiente in cui sono cresciuto ». Ma, al termine della chiacchierata, aggiunse: «Non voglio pubblicità sulle mie origini. In Italia, sembrerebbe una cosa esoterica ( sic !) ». «Ne hai parlato tu sul blog», obiettò l'altro.
«Diciamo che è stato un lapsus», replicò il Nostro.In questo dire e non dire, come quando si impanca, si esalta e si loda, Saviano mostra un lato infantile e irrisolto. Paga lo scotto di chi si è trovato in cima senza doversi arrampicare.
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