Priebke, quando il vincitore è fuori tempo massimo

In questa Italia, che scorda il suo passato, l’implacabile accusa all’ex SS ha il sapore della vendetta. Lui è ormai un relitto umano da consegnare alla fornace della Storia

Priebke, quando il vincitore è fuori tempo massimo

Lunedì 29 luglio Erich Priebke compirà cent'anni, e questa ricorrenza susciterà sicuramente rievocazioni e commenti. I più, immagino dedicati al ruolo che l'ex capitano delle SS ebbe nell'orribile mattanza delle Fosse Ardeatine. Priebke è tuttora agli arresti domiciliari, se gli viene concessa qualche libertà - come quella d'andare al supermercato a far la spesa - subito si levano proteste. Il boia che fu agli ordini di Kappler - ma gli altri subordinati di Kappler vennero tutti assolti dal Tribunale militare di Roma nel 1948 per avere eseguito ordini superiori - non merita indulgenza. Per il suo remoto crimine non è consentita quella cancellazione di cui si sono giovati tanti assassini degli anni di piombo. Sì, la sorte di Priebke deve essere un monito contro le atrocità della guerra scatenata nel nome dell'aggressione e del razzismo. Anche se unico ormai - per motivi anagrafici - questo vegliardo impersona per molti tutto il male estremo che Hitler inflisse all'Europa, e che vide l'Italia associata a lungo e alacremente all'invasato di Berlino.

La vicenda che - dopo un intervallo di mezzo secolo - ha portato Priebke a un ergastolo italiano fortemente voluto e bene o male ottenuto, non riguarda unicamente il relitto umano che si avvicina quietamente alla morte. La sua persona è poca cosa, anzi è niente se la si raffronta ai milioni di caduti che insanguinarono il suolo del nostro continente. Sì, come fosco campione d'una stagione atroce il vegliardo Erich può essere consegnato senza troppi indugi alla fornace della storia.
Eppure in questo suo essere un solitario esemplare della malvagità umana è facile ravvisare un'ombra d'ingiustizia, la stessa che accompagnò il processo di Norimberga: dove il feroce Wiscinski, fedele e servile esecutore degli ordini di Stalin e organizzatore di processi farsa contro chi a Stalin era ritenuto ostile, vigilava affinché giustizia fosse fatta. E giustizia fu fatta, i gerarchi e capi militari nazisti che finirono sulla forca o si tolsero la vita ricevettero tutti - tranne forse il generale Jodl - una pena adeguata ai loro misfatti.

Priebke, fortunosamente riportato in Italia dopo che durante decenni era vissuto tranquillamente in Argentina, è anche lui, nel suo piccolo, un esempio di giustizia dei vincitori. Ai quali si è aggregata l'Italia che da complice del nazismo s'è trasformata in campionessa d'un antifascismo puro e duro. Nel nome del quale vuole fortissimamente che siano sanzionati i crimini di guerra - tranne i suoi - e ha fortissimamente voluto che a Priebke fosse inflitto il carcere perpetuo. In questi ultimi giorni alcuni lettori hanno riproposto i quesiti derivanti dall'attentato di via Rasella e dalla successiva rappresaglia tedesca: per lo più deplorando l'inutilità militare - con conseguenze tremende - di quell'azione.

Non m'interessa di tornare sull'argomento. Considero queste polemiche, con i tempi grami che per ben altri motivi corrono, fuori tempo e fuori luogo. Ormai fuori tempo e fuori luogo è anche Erich Priebke, ed evito di discettare sulla sua vicenda e sul metro con cui giudicarla: perché l'attende un giudizio ben più alto e ben più definitivo.

Rilevo tuttavia che tra i vincitori non mancò qualche tipo piuttosto sbrigativo nel trattare i nemici prigionieri. E aggiungo che in questa Italia e in questo mondo da «scurdammoce 'o passato» l'implacabilità dell'accusa all'ex capitano delle SS ha un acre sapore di vendetta individuale per realizzare una vendetta collettiva.

Priebke come titolare della malvagità umana. Né i precedenti di Priebke né l'opinione pubblica dell'Italia d'oggi legittimerebbero espressioni d'augurio per questo suo importante compleanno. Il capitano è al capolinea. Rispettiamo però questa sua ultima attesa.

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