L uigi Bisignani riscrive, da dietro la porta, un pezzo di storia d'Italia. Centinaia i segreti, grandi e minori, svelati dall'uomo più vicino ad Andreotti e al Vaticano. Il lobbista coinvolto in più inchieste, Enimont prima e ultima la P4 dove ha patteggiato 19 mesi, racconta retroscena di ogni tipo: silura Cesare Geronzi che - dice - rinnegò Andreotti e non solo lui. Parla del sequestro Ocalan («era difeso da Giuliano Pisapia, che fu mio avvocato durante Mani pulite») e scherza su Pippo Baudo che a casa di Andreotti, quando era iniziato il processo per mafia, «si presentò con una gigantesca cassata con su scritto Cazzate siciliane...». Fino alla passione per l'estetica di Berlusconi, che oggi stravede per l'ex candidato sindaco di Roma, il bell'Alfio Marchini («pupillo di Gianni Letta») e ieri stoppò l'arrivo di Enrico Cisnetto alla direzione di Panorama «perché aveva la pancetta». Per non dire delle convinzioni di Andreotti e Cossiga che dietro la strage di Capaci vi fosse il Kgb o l'arrabbiatura del figlio di Gheddafi (amico di Elisabetta Tulliani ai tempi in cui Gaucci fece giocare l'altro figlio del rais nel Perugia) quando Fini annullò la visita alla Camera per non sottostare alle bizze del presidente libico, e i risvolti riservatissimi sui Papi (quando lavorava all'Ansa fece lo scoop sulla morte di Paolo VI): Ratzinger che amava il lusso dei suoi abiti, Woityla spiato dentro San Pietro, Bergoglio nella chiesa di San Bellarmino, la sua parrocchia. Peschiamo a caso.
CUCCIA NEL BORDELLO
Anche Enrico Cuccia, il Grande Vecchio di Mediobanca, era un essere umano. «Carlo Bombieri - rivela Bisignani - da giovanissimo riuscì a portare il suo grande amico Enrico Cuccia in un bordello a Varsavia». Il banchiere di via Filodrammatici, da uomo di mondo, era però preoccupato e preveggente. «Ma non è che si saprà in Italia?».
MADRE TERESA INDAGATA
Madre Teresa di Calcutta finì sott'inchiesta. Un pm le inviò un avviso di garanzia per esportazione di valuta. «Glielo consegnarono i carabinieri all'alba, mentre lei era in chiesa a pregare. Venne a consigliarsi con Andreotti che la consolò dicendole di considerare quell'avviso come una medaglia verso la santità».
I GIUDA SICILIANI
Bisignani fa i nomi di Renato Schifani e Angelino Alfano come i «giuda» che avrebbero tramato contro Silvio Berlusconi dopo la decisione di quest'ultimo, fallito il corteggiamento a Renzi, di scendere in campo alle ultime elezioni. «Piccoli uomini creati da Berlusconi dal nulla e improvvisamente convinti di essere diventati superuomini. Schifani e Alfano lavoravano alla costruzione di una nuova alleanza senza Berlusconi. Si montavano a vicenda senza capire che quando è ferito Berlusconi dà il meglio di sé». Quanto ad Alfano «una volta incoronato, nel 2011, contro il parere di tanti, ha pensato soprattutto a costruire un monumento a se stesso».
BRANKO E LE STELLE
«Se ne stava chiuso (Alfano, ndr) nel suo ufficio bunker in via dell'Umiltà, dove per chiunque era impossibile entrare. Passava più tempo con i giornalisti, Facebook e Twitter che non con i parlamentari (...). Regola le giornate in base a quel che dice il suo oroscopo», quello fatto da Branko, «l'uomo delle stelle». Chi ha remato contro non erano congiurati «ma sbandati, sfiduciati e disperati. Si fecero abbagliare dalla luce di Monti da un delirio di visibilità fuori luogo (...)». Tra i congiurati alcuni di An, tranne Matteoli, «e la favorita di Angelino, Beatrice Lorenzin, premiata con il ministero della Salute».
ZERO ZERO GRILLO
C'è un capitolo è dedicato al rapporto tra il leader di M5S e gli Usa interessati alla politica, anche energetica, promossa dal movimento. «Agli americani è noto il rapporto strettissimo che Grillo ha con vecchie conoscenze. Come Franco Maranzana, un geologo controcorrente di 78 anni, il suggeritore sulle politiche energetiche». Bisignani parla di centinaia di informative, decine di leaks sui 5 stelle inviati al Dipartimento di Stato americano, memorandum in 16 punti dopo il pranzo di Grillo con l'ambasciatore Spogli e alcuni agenti.
MANI (QUASI) PULITE
Bisigani rivela come il gotha della finanza cercò di fermare le inchieste su Tangentopoli. La strategia fu elaborata durante una riunione segreta nella sede di Mediobanca, presieduta da Cuccia. «Vi presero parte, oltre ad Agnelli e Romiti, Pirelli accompagnato da Tronchetti Provera, De Benedetti, Pesenti, Sama per il Gruppo Ferruzzi e ovviamente l'Ad dell'istituto Maranghi». A quest'ultimo toccò di far sparire i documenti scottanti nascosti dietro una libreria dell'Istituto con «un pulmino». Carte «dal contenuto inquietante» sfuggite a una perquisizione. La linea Maginot prevedeva la chiusura di ogni forma di collaborazione con i pm di Milano e la «perentoria denuncia dei metodi che stavano destabilizzando il paese e la sua economia». Ma il piano crollò perché un dirigente Fiat vuotò il sacco e perché i tg di Berlusconi, che «all'epoca non faceva parte del giro di Mediobanca», cavalcarono la tigre di Mani pulite.
SCALFARI E CHAMPAGNE
Quand'era capo ufficio stampa del ministro del Tesoro Gaetano Stammati, Bisignani offriva scoop a Eugenio Scalfari. «Fu il primo direttore a fidarsi di me e consultarmi come fonte riservata. Iniziammo a sentirci in occasione dello scandalo dei fondi concessi dall'Italcasse a Caltagirone (...). Ogni volta che lo aiutavo a fare uno scoop mi mandava una bottiglia di champagne (...). Quando conclusi l'esperienza con Stammati andai a trovare Scalfari e lui mi propose di scrivere per il giornale. Alla fine non se ne fece nulla anche se mise una buona parola per farmi collaborare con L'Espresso, pur rimanendo all'Ansa».
L'AMARO DE BORTOLI
Del suo amico direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, il lobbista sottolinea la «camaleontica capacità di infilarsi tra le pieghe del tuo discorso» e di aver «quasi mai un'opinione troppo discorde da quella dell'interlocutore: democristiano con i democristiani, giustizialista con i giustizialisti» a seconda «di chi ha davanti. Su di lui scriverò un libro di cui ho già venduto i diritti. Si chiamerà Il direttore». Grazie a Bisignani, de Bortoli avrebbe migliorato i suoi rapporti con Geronzi, ma non con D'Alema «visto che i due si detestavano cordialmente». Quanto alle telefonate fra i due mai rese pubbliche a margine della P4, Bisignani dice: «Forse l'enfasi con cui il Corriere ha seguito la vicenda ha qualche nesso con la mancata diffusione o trascrizione delle conversazioni tra me e lui». Bisignani fa cenno agli incontri col direttore a Roma e a Milano, ai consigli richiesti per rispondere a un editoriale di Scalfari che lo accusava di essere filogovernativo, «lui fu il primo che mi riferì dell'inchiesta Ruby». Morale? «Una parte della redazione, secondo me, con lo spauracchio del clima creatosi per quelle intercettazioni, ha messo sotto tutela il direttore. Che non ha potuto fare altro che amplificare l'inchiesta». Se De Bortoli ha evitato di parlare di quell'amicizia, al contrario il direttore della Stampa, Mario Calabresi, ha fatto outing. «Un gran signore».
TONINO, ILDA E JOHN HENRY
Fra i pm con cui ha avuto a che fare Bisignani cita Di Pietro col suo modo di ammaliare gli indagati, e la Boccassini («mi contestò la frequentazione con un generale della Gdf che non ricordavo, facendomi vedere una foto dove eravamo allo stesso tavolo, io replicai che allora avevo più intimità con lei perché eravamo stati fianco a fianco alle terme di Casamicciola»).
E a Woodcock, che aveva dimenticato il cane nel bagagliaio dopo sette ore a dettar verbali, consigliò di portar Fido in Procura. «Meglio una denuncia per aver fatto assistere un cane a un interrogatorio che per abbandono di animali».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.