Lo schiaffo del Pd ad Alfano: i nostri indagati non si toccano

Il ministro Boschi interviene sui sottosegretari nel mirino dei pm: "No a dimissioni per un avviso di garanzia". Ma con Gentile (Ncd) la posizione è stata ben diversa

Lo schiaffo del Pd ad Alfano: i nostri indagati non si toccano

«Il governo non chiede dimissioni di ministri o sottosegretari sulla base di un avviso di garanzia». Il ministro Maria Elena Boschi va dritta al punto, nel rispondere nell'aula di Montecitorio alle interrogazioni dei grillini sulla nomina a sottosegretario di Francesca Barracciu. E articola il ragionamento, con una fiera difesa dei principi del garantismo e dell'autonomia della politica: «Abbiamo giurato sulla Costituzione, che contempla il principio fondamentale della presunzione di innocenza - ricorda - l'avviso di garanzia è un atto dovuto a tutela dell'indagato e non una anticipazione della condanna. Il procedimento si trova nella sua fase preliminare e lo stesso sottosegretario ne ha chiesto una accelerazione. All'esito il governo valuterà». Tutto bene, anzi benissimo. Salvo che di lì a poco il governo Renzi si becca - come era facile prevedere - l'accusa di «doppia morale» (titolo di apertura dell'Huffington Post di Lucia Annunziata, che ricorda l'intransigenza renziana, ai tempi del governo Letta, sui casi della Cancellieri o di Alfano) e «doppiopesismo» (Rosy Bindi), mentre la costituzionalista Lorenza Carlassare (quella che si dimise per protesta dal “comitato dei saggi” per la riforma costituzionale quando scoprì che doveva occuparsi di riforma costituzionale) se la prende addirittura con Napolitano, che a suo dire avrebbe dovuto fermare col proprio corpo le nomine di sottosegretari indagati: «Sarebbe stato forse opportuno - spiega - che il capo dello Stato, superando ogni legittima preoccupazione per i delicati equilibri politici, avesse mosso obiezione prima di apporre la sua firma».

Nessuna polemica, invece, dal Ncd, che solo due giorni fa ha dovuto far dimettere (su pressione di Renzi, del Pd e dell'intera opinione pubblica) il suo ras calabrese, Tonino Gentile: non indagato, ma coinvolto in una brutta storia di giornali bloccati per non far uscire notizie fastidiose sulla sua ampia famiglia, ben ramificata nel potere locale. «Rispettiamo la scelta del Pd», si limita a dire Angelino Alfano, dando la colpa del caso Gentile al Giornale, «garantista a convenienza». L'interrogazione cui ha risposto la Boschi chiamava in causa solo la Barracciu, indagata insieme agli altri consiglieri per i rimborsi della Regione Sardegna. Ragione per la quale, a dicembre, il neosegretario Pd Matteo Renzi le chiese di non candidarsi a governatore, pur avendo vinto le primarie. Ma di sottosegretari Pd muniti di avviso di garanzia ce ne sono altri due, De Filippo e De Caro (sempre storie di rimborsi regionali) più un rinviato a giudizio, Filippo Bubbico: accusato, da presidente della Basilicata, di aver commissionato ad un professionista esterno anziché alla burocrazia regionale un progetto di riorganizzazione degli uffici. «E lo rifarei, una decisione legittima e doverosa», rivendica lui. La linea garantista del governo sui sottosegretari (che d'altronde non sono renziani ma di altre correnti) è apprezzata nel Pd. «La magistratura – sostiene Gianni Cuperlo – non può fare da scudo alla politica, che invece deve recuperare la sua autonomia». L'unica che contesta apertamente le posizioni della Boschi è Rosy Bindi, secondo la quale nel Pd bisogna «avviare una riflessione», perché «sono stati usati due pesi e due misure: per alcuni reati c'è chi non è stato candidato, e chi invece siede al governo».

E Pippo Civati punzecchia il premier: «Sarà Renzi a spiegare che differenza c'è tra Gentile e i sottosegretari Pd. Posizioni e accuse non sono identiche, non c'è dubbio, ma sarà il premier a dover spiegare e a metterci la faccia».

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