Milano - La debolezza del sindacato, dovuta alle divisioni tra Cgil, Cisl e Uil, è la vera forza di Mario Monti nella trattativa sull’articolo 18. Lo si è compreso ancor meglio nella corso del convegno milanese del Centro studi di Confindustria. «La settimana prossima si chiuderanno le trattative sul mercato del lavoro e sugli ammortizzatori sociali», ha detto il primo ministro alla platea di imprenditori invitando con determinazione e risolutezza le parti sociali a «cedere qualcosa» e richiamandole a «uno spirito di coesione».
Ma cosa c’è dietro le parole e l’affannarsi dei protagonisti della vicenda nei padiglioni della Fiera di Milano? La risposta è semplice: l’entente cordiale del vertice con Alfano, Casini e Bersani di giovedì notte ha rafforzato ancor di più il premier in questa battaglia. E adesso l’unanimità, che sta molto a cuore al ministro del Lavoro Elsa Fornero, potrebbe non essere più una conditio sine qua non della trattativa.
Lo ha lasciato capire senza eufemismi il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, piombando ieri mattina nella sala stampa del convegno assieme al collega della Uil Luigi Angeletti e denunciando gli «opposti estremismi» degli incontri informali tra governo e parti sociali della mattinata. «La Cisl - ha sottolineato - vuole salvare l’articolo 18. Altri evidentemente preferiscono lavarsi le mani. Sarebbe un errore storico gravissimo». Sulla stessa linea d’onda anche Angeletti che sull’accordo «non avrebbe scommesso».
La materia del contendere è molto delicata. La Confindustria e parti consistenti del governo, infatti, spingono per un’applicazione più estensiva della riforma dei licenziamenti non solo ai casi economici, ma anche ai motivi disciplinari, salvaguardando solo le eventuali discriminazioni. Cisl e Uil non ci stanno, rimproverando alla «barricadera» della Cgil Susanna Camusso di voler far saltare il banco con i suoi ripetuti niet. «Siamo belli lontani, impossibile chiudere martedì», ha ripetuto ieri la segretaria riferendosi al prossimo incontro ufficiale. La numero uno della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha invece tuonato dal palco: «Se la riforma sarà un compromesso al ribasso, non la firmeremo». Un chiaro riferimento non solo al tentativo di restringere il campo della riforma, ma anche all’aggravio di costi per i contratti a tempo determinato.
In realtà, la situazione è un po’ diversa da come viene rappresentata nelle dichiarazioni ufficiali. Nel vertice a sei di ieri pomeriggio tra Monti, Fornero, Marcegaglia e i tre segretari generali, Camusso è addirittura tornata a chiedere l’applicazione dell’articolo 18 anche alle imprese con meno di 15 dipendenti. Unica concessione, lo snellimento dei tempi delle cause civili sui licenziamenti senza giusta causa. Questione più adatta al ministro Severino che al titolare del Lavoro. Perché questo irrigidimento? Fondamentalmente Camusso si è sentita «scaricata» dalle aperture a Monti del segretario Pd Bersani che l’ha praticamente abbandonata nelle grinfie degli indignados della Fiom di Maurizio Landini. E per tenere insieme la «baracca» di Corso Italia, Camusso non può fare altro che mostrare la faccia cattiva. Anche quando forse non vorrebbe del tutto.
Confindustria, dall’altro lato, è meno irritata di quanto si possa pensare. Marcegaglia potrebbe concludere il suo quadriennio innalzando il Sacro Graal dell’articolo 18 anche a fronte di qualche aggravio di costi.
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