"Siamo stati dei polli". Il Pd in crisi dopo l'attacco al Manifesto di Ventotene

Opposizione in tilt all'indomani dell'invettiva del premier Giorgia Meloni sul Manifesto di Ventotene

"Siamo stati dei polli". Il Pd in crisi dopo l'attacco al Manifesto di Ventotene
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"Siamo stati dei polli". "Siamo caduti nel 'trappolone' della Meloni". Fondamentalmente è questo il sentiment che prevale nel campo del centrosinistra e del Pd, all'indomani dell'invettiva del premier Giorgia Meloni sul Manifesto di Ventotene che, a detta sua, ha fatto "impazzire" l'opposizione.

Tra i banchi dell'opposizione, infatti, c'è la consapevolezza che "l'operazione di distrazione di comunicazione di massa" operata dal presidente del Consiglio abbia funzionato. Il dibattito, come ha evidenziato anche lo storico Giordano Bruno Guerri sul Corriere della Sera, si è improvvisato spostato dai temi del riarmo e del Consiglio Europeo al manifesto di Ventotene scritto 80 anni fa dagli antifascisti Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni che il regime fascista aveva appunto spedito al confino. “Quello che è disarmante è che non sappiamo quale sia l’idea di Europa della presidente Meloni: è l’idea che aveva portato alla seconda guerra mondiale, cioè i nazionalismi? L’Europa delle nazioni che alla fine vanno in conflitto tra di loro e determinano anche un’involuzione antidemocratica interna e autoritaria?", si è chiesto parlando a Radio Anch’io il segretario di +Europa, Riccardo Magi. Che, poi, ha aggiunto: "Ovviamente c’è anche l’operazione di distrazione di massa per nascondere il fatto che la Lega in quegli stessi istanti diceva che Meloni su Rearm non ha la maggioranza". E ancora: "Il problema è che non si parla di quello che dice davvero il Manifesto di Ventotene, cioè di una Europa federale, di cessione della sovranità nazionale fino alla creazione degli Stati Uniti d’Europa, con anche un esercito comune che risponde a una politica estera comune". Secondo Magi "è questo su cui dovrebbero misurarsi le forze politiche rispetto al Manifesto di Ventotene, non sulle bombette ideologiche che Meloni spara per distrarre l’attenzione dal fatto che in un momento così cruciale per il mondo, il governo italiano si presenta ai vertici internazionali senza una linea”.

Stavolta, però, persino la minoranza del Pd ha inveito contro il premier, anche se poi privatamente ha ammesso l'errore strategico di aver riportato il fulcro del dibattito all'antifascismo, sostanzialmente l'unico collante di queste opposizioni. "Non potevamo tacere", dicono a ilGiornale.it alcuni parlamentari. Secondo il deputato dem Stefano Graziano "è inaccettabile che si voglia riscrivere la storia" e una tale provocazione "deturpa coloro che hanno sacrificato la loro vita per e l’Europa unita e la seconda perché insegue Salvini sulla distruzione dell’Europa". Da un lato si osserva anche che quest'invettiva della Meloni è servita, in un certo qual modo, anche a ricompattare persino il Pd perché i fedelissimi della Schlein temevano che ci sarebbero potuti essere molti più voti di riformisti a favore delle mozioni dei centristi e, invece, non si è ripetuta la frattura che vi è stata a Bruxelles qualche giorno fa, mentre i Cinquestelle, coloro che sono nati antieuropeisti, si sono improvvisamente scoperti fan del manifesto simbolo dell'Unione Europea.

Alla resa dei conti, però, resta una maggioranza che ha votato compattamente un'unica mozione e un'opposizione spaccata che ne ha votato ben sei diverse. Ora, però, si ritroveranno tutti a Ventotene in nome di un'unità che non esiste.

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