Mario Monti in modo piuttosto irrituale ha dato il benservito al governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo. In una lettera gli ha fatto capire che se non onorasse il suo impegno alle dimissioni entro la fine del mese, il governo potrebbe commissariare l’isola.La Sicilia non solo è ingovernabile, cosa peraltro non del tutto nuova, ma è ad un passo dal fallimento. Non ci sarebbe più un euro in cassa. Sul Giornale avete letto centinaia di articoli ed inchieste sulle follie spendaccione dell’isola: dai camminatori agli istruttori di sci. I dati in banale sintesi sono questi. Solo per i suoi dipendenti si spendono più di 1,7 miliardi di euro (i dati più aggiornati sono quelli del 2009). Per dare un termine di paragone, si tratta di circa venti volte il costo della Lombardia. Il costo per le retribuzioni in cinque anni è cresciuto del 50 per cento, al ritmo vertiginoso del 10 per cento annuo. Su più di 17mila dipendenti, ci sono 1428 dirigenti. E ventimila precari puntano su una prossima stabilizzazione della loro condizione lavorativa. La Regione Sicilia ha un volume di consumi intermedi (dati 2009) pari alla ragguardevole cifretta di 1,1 miliardi, che se ne vanno in spese di funzionamento e acquisto di servizi. Anche per un contabile abituato alle nefandezze della nostra storica spesa incontrollata, si tratta di numeri da brivido. La Regione ha certificato debiti per 5,3 miliardi, ma la cifra di quelli fuori bilancio ( quelli per cui un imprenditore andrebbe in galera) è difficile da stabilire. Finiamo di annoiare i lettori con l’ultima cifra. La Sicilia ha il privilegio di godere di circa sei miliardi di euro di finanziamenti europei: ne ha speso solo il 12 per cento. Il dipartimento infrastrutture ( che tante volte si dice mancano al Sud) ha una dote di 2 miliardi di euro, ma è riuscita a spendere solo 360 milioni.
Mario Monti ha preso carta e penna e ha scritto, ciò che si sarebbe dovuto scrivere da anni. La Sicilia ha dimostrato di non saper sfruttare la sua ampia autonomia concessa dal Costituente. Oggi questo gigantesco spreco è un lusso che non possiamo più permetterci.
Gli aspetti interessanti della vicenda sono due.
1. È di tutta evidenza che non sia sufficiente una gestione, per quanto sciagurata, a ridurre sul lastrico i siciliani. Il governatore Lombardo ci avrà messo del suo. Ma basta vedere la gestione contabile dei Comuni più importanti della Sicilia per rendersi conto di come il male sia piuttosto diffuso. L’ex sindaco di Palermo, Diego Cammarata, ha lasciato le casse del suo Comune con un buco superiore ai cento milioni di euro. La mossa di Monti ha dunque un sapore fortemente politico. Mentre Roma cerca di tappare i buchi, gli italiani (siciliani compresi) sono bastonati dalle imposte, non si può permettere che si aprano falle a livello locale. Poco importa che la Sicilia sia un formidabile serbatoio di voti e di alleanze politiche. Ciò ha frenato per anni e in modo bipartisan un serio ripensamento della tenuta contabile del governo siciliano.
Con la lettera di Monti il messaggio è arrivato chiaro e netto: a Roma non c’è alcuno scudo politico alle sciocchezze commesse.
2. Non ci sono più isole felici. Il caso siciliano è clamoroso, ma non unico. Nella spending review sono state toccate alcune importanti attribuzioni ad altre autonomie locali.
Le Regioni a Statuto speciale non hanno speso tutte male come quella siciliana, ma hanno mediamente speso tutte troppo. È un sistema degno di un’altra epoca. Non è detto che le esigenze storiche che le hanno viste nascere siano del tutto venute meno, ma non ci sono più le risorse di un tempo per mantenerle. La questione non è Nord contro Sud. È buchi di bilancio contro risparmi. Il neo sindaco di Parma si trova un rosso da 600 milioni e nel suo programma prevede la cancellazione di un termovalorizzatore che è costato milioni di euro. Sono lussi sciagurati che non hanno targa, ma che il governo bene fa a controllare.
Minacciare il commissariamento della Sicilia, che è sull’orlo del fallimento, assume così un valore nazionale. Si potrebbe, banalizzando, dire che è proprio questo il motivo per il quale la politica sta pagando i tecnici: per fare quel lavoro sporco che per anni, colpevolmente, non è riuscita a fare. Questo Giornale è stato spesso molto duro con il governo Monti. Ma sempre e solo quando il suo comportamento ha ricalcato ciò che gli originali (cioè i partiti politici) avrebbero potuto tranquillamente fare da sé: aumentare la tasse sulla benzina, concertare una riformetta sul mercato del lavoro, contrattare con i magistrati la riforma della giustizia.
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