La nave Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans ha sfidato ancora le autorità italiane e ora è nuovamente ferma in porto. Ma stavolta il decreto Piantedosi non c'entra niente. Martedì mattina, l'unica nave delle Ong battente bandiera italiana è arrivata a Porto Empedocle, dove ha sbarcato 58 migranti recuperati in area Sar tunisina. Come è consuetudine, invece di chiedere il porto al Paese più vicino, che nel caso specifico era la Tunisia, la nave battente bandiera italiana ha chiesto all'Italia, che ha assegnato Napoli. Ma la nave ha rifiutato quel porto e ingaggiato un braccio di ferro finché non le è stato assegnato quello nell'agrigentino.
All'arrivo a Porto Empedocle, le autorità hanno disposto il fermo amministrativo alla nave, oltre a comminare una multa di 4mila euro, con l'accusa di svolgere attività di soccorso senza l'autorizzazione dello Stato di bandiera. Meno di una settimana fa, la nave è salpata dal porto di Trapani nonostante fosse diffidata "dal continuare a intraprendere ogni attività preordinata alla effettuazione sistematica del servizio di ricerca e soccorso in mare". Mare Jonio non dispone delle certificazioni per effettuare attività sistemica di ricerca e soccorso e le è stato ordinato di sbarcare tutte le attrezzature presenti a bordo per effettuare queste operazioni. L'equipaggio ha obbedito ma è salpata lo stesso in direzione della Tunisia. "Secondo voi, noi obbediremo all'ordine di non soccorrere?", è stata la risposta di Luca Casarini, capomissione di Mare Jonio, all'ordine imposto dalle autorità.
Eppure, oggi dalla Ong parlano di decisione pretestuosa da parte delle autorità italiane. "Per la terza volta la nostra nave Mare Jonio viene colpita dal decreto Piantedosi dopo aver soccorso vite umane in pericolo. Questa volta la motivazione adottata è gravissima: siamo accusati di svolgere attività di soccorso senza l'autorizzazione dello Stato di bandiera. Una motivazione pretestuosa e persecutoria", è l'accusa mossa da Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Humans. "Voglio dirlo chiaro al ministro Piantedosi e alla presidente del Consiglio Meloni: salvare vite umane in mare è un dovere etico e un obbligo giuridico. Non ci impedirete di restare umani", ha poi aggiunto, sottintendendo l'avviso che torneranno comunque in mare, anche in violazione delle disposizioni.
Le autorità italiane che si interfacciano con le organizzazioni non governative si trovano davanti equipaggi che ideologicamente non riconoscono l'ordine costituito. Pretendono di operare in completa autonomia, disponendo a proprio piacimento dei porti italiani perché portano avanti le ideologie no-border. Ogni loro richiesta di porto è una sfida che viene condotta allo Stato e al governo, facendosi scudo delle opposizioni che per perseguire interessi di partito sono disposte a sacrificare quelli nazionali. "Abbiamo semplicemente fatto quello che abbiamo sempre detto. Quella dei porti lontani è una decisione ingiusta, in primis nei confronti delle persone soccorse e che non devono essere sottoposte a ulteriori traumi e sofferenze.
Ci hanno assegnato Napoli, a oltre 400 miglia dal punto dove eravamo, e noi abbiamo risposto 'Signornò'", ha dichiarato Alessandro Metz, armatore sociale di Mediterranea. Ora la nave dovrà restare in porto per 20 giorni. Salvo trovare un giudice che faccia carta straccia del dispositivo italiano e le permetta di tornare in mare con anticipo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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