Caro Francesco,
purtroppo si è imposta questa tendenza tipica dello Stato etico e consistente nella volontà di perseguire le persone per i loro peccati e non semplicemente per reati da queste eventualmente posti in essere, di insegnare alla gente come vivere, cosa indossare, quale tipo di auto guidare, come spostarsi, cosa mangiare, cosa bere, di moralizzare le masse spingendole verso la retta via, come se l'individuo non fosse capace né fosse libero di scegliere.
La guerra al fumo si inserisce in questa cornice qui. Ci dicono che il fumo fa male e che quindi dobbiamo astenercene e veniamo ostacolati in ogni maniera, il tutto in nome della tutela del diritto alla salute nostra e altrui.
Per carità, io credo che certe limitazioni, per quanto mi abbiano prodotto e tuttora mi generino parecchie scocciature, siano state necessarie e intelligenti, come il divieto di fumare negli ambienti pubblici chiusi. Alla noia di non potere accendere una sigaretta quando mi trovo al ristorante ho rimediato prediligendo quei locali dove è prevista una saletta fumatori, in cui ci riuniamo noi irriducibili peccatori i quali abbiamo in comune questo vizietto qui, tutto sommato meno nocivo rispetto a tanti altri. Lì ci sentiamo liberi di farci uscire il fumo da bocca e narici senza subire gli sguardi di disprezzo e di intolleranza che tu conoscerai e che sempre più spesso ci riserva chi non fuma. Peraltro, non ho mai tentato di persuadere chi non fuma a farlo, quindi perché mai chi non fuma avverte il dovere e il diritto di distoglierci dal nostro tabacco? Come diavolo si permette? Eppure lo accettiamo, ovvero incassiamo determinati commenti, esortazioni, osservazioni, forse perché noi fumatori siamo più tolleranti, quantunque veniamo reputati meno virtuosi, rispetto a coloro che ci avversano.
Dunque, ci sta che non possiamo fumare nei luoghi chiusi che non siano di nostra proprietà e a nostro uso esclusivo. Ci sta che non fumiamo in faccia alle donne incinte e che abbiamo l'accortezza di evitarlo in presenza di bambini, allo scopo di preservarne il benessere. Ci sta pure che sul pacchetto ci abbiano piazzato queste immagini respingenti di polmoni anneriti, di cadaveri, di soggetti in fin di vita, di gole bucate e chi più ne ha più ne metta. Ammetto di osservarle con indifferenza mentre sfilo l'ennesima sigaretta che talvolta fumo una dietro l'altra.
Ciò che invece proprio non ci sta è che ci costringano ad uscire con il metro in tasca per misurare, prima di accingerci a farci una sigaretta (mica a realizzare un atto di terrore), la distanza a Milano di dieci metri e a Torino di cinque rispetto a qualsiasi altra persona. Insomma, io in tasca voglio tenerci solo il pacchetto e nell'altra tasca quello di scorta, non mi va di ficcarci altro.
E all'aperto non possiamo fumare, è proibito nei parchi milanesi, e in coda non possiamo fumare, e al bar non possiamo fumare, e al ristorante non possiamo fumare, e al cinema non possiamo fumare, e in ufficio non possiamo fumare, e in albergo non possiamo fumare, e in treno non possiamo fumare, e in ospedale non possiamo fumare (io ho fumato lo stesso), e in compagnia non possiamo fumare, e aspettando il bus non possiamo fumare, e a nove metri e mezzo di distanza dal prossimo non possiamo fumare, e a quattro metri e mezzo di distanza da chicchessia non possiamo fumare. Non sarebbe meglio, a questo punto, spiegarci dove diamine possiamo farlo senza essere multati o redarguiti?
Il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, sostiene che si tratti di questione di rispetto oltre che di buonsenso. Benissimo. E noi tabagisti, vessati da questo proibizionismo sempre più dilagante e grottesco, ghettizzati, emarginati, isolati, maltrattati, invisi, perseguitati (e non esagero), indotti a nasconderci come fossimo criminali, noi chi ci rispetta?
Faccio notare, infine, che è sempre la
sinistra ad inventare proibizioni schizofreniche, dal sapore moralizzante e dalla volontà correttiva. Quella stessa sinistra, per intenderci, che vuole la cannabis libera. Le canne sì, il tabacco no.Caro Francesco, teniamo duro.
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