Gogna mediatica e assoluzioni: scintille tra Zurlo e Travaglio sulla giustizia

I due giornalisti si sono confrontati a lungo sui temi di attualità giudiziaria in un convegno tenuto a Busto Arsizio: il garantismo e la presunzione di innocenza provocano notevoli divergenze tra i due

Gogna mediatica e assoluzioni: scintille tra Zurlo e Travaglio sulla giustizia

Stefano Zurlo e Marco Travaglio hanno aperto ieri sera il ciclo di convegni sulla giustizia organizzato dall'Associazione nazionale magistrati di Busto Arsizio (Varese), dal titolo "Dialoghi con la magistratura - Prospettive sulla Giustizia". E i momenti frizzanti, di certo, non sono mancati. I due giornalisti, pur pensandolo per molti versi in maniera diametralmente opposto tra loro sulle tematiche strettamente giudiziarie, hanno dato vita a un confronto civile ma serrato mentre venivano sviscerati diversi argomenti: dall'abolizione del reato d'abuso d'ufficio al freschissimo provvedimento dei test psicoattitudinali licenziato due giorni fa dal Consiglio dei ministri, passando per il gip collegiale, la prescrizione, la separazione delle carriere e la riforma del Csm.

Per non parlare delle punzecchiature reciproche su Alfonso Bonafede: con il direttore de Il Fatto Quotidiano che lo definisce addirittura "il più grande ministro della Giustizia degli ultimi trent'anni", mentre per Zurlo si tratta "una delle più grandi sciagure degli ultimi decenni". Tuttavia, verso metà del dibattito, durato più di due ore e mezza, sono arrivate le (quasi) inevitabili scintille dialettiche.

Zurlo racconta il caso Zuncheddu

Se gli editorialisti de Il Giornale e del Fatto si dimostrano pressoché concordi sul fatto di ridurre le norme penali e sull'imprescendibilità dell'autonomia e indipendenza della magistratura, le opinioni tra i due divergono totalmente quando si sfiora il tema degli errori giudiziari. Zurlo e Travaglio si ritrovano gomito a gomito all'interno dell'Aula "Falcone e Borsellino" del Tribunale del comune varesotto - moderati dal presidente dell'Anm locale, Massimo De Filippo - e cominciano a scontrarsi sulle cosiddette "gogne mediatiche" e la mancanza della presunzione di innocenza contro alcuni imputati che poi sono finiti assolti.

Tutto ruota intorno all'emendamento Costa che vieta di trascrivere le frasi esatte del giudice e i virgolettati delle intercettazioni che sono contenuti nell'ordinanza di custodia cautelare fino all'udienza preliminare. "In Italia si sono dimessi molti ministri che alla fine non sono stati neanche processati", fa notare il cronista giudiziario milanese, il quale poi ricorda la storia di un personaggio per nulla potente: Beniamino Zuncheddu. "E un signore rimasto in galera 33 anni e, quando la Corte d'Appello di Roma decide di rioccuparsi del caso, ci impiega due anni per arrivare alla sentenza e decidere di scarcerarlo quindici giorni prima dell'assoluzione perché si vedeva lontano un chilometro che era innocente".

Il tema di fondo è che "da noi ci sono dei processi che cominciano quando l'informazione ha già raccontato la vicenda in tutti i modi", mentre all'estero - essendo molto più veloci i processi - non hanno bisogno di fornire troppi dettagli di storie che poi, dal punto di vista giudiziario, prendono tutt'altra piega. Travaglio finge di non capire il ragionamento del suo interlocutore e ribatte: "Io sono stato assolto 299 volte su 300 querele ricevute, cosa facciamo? Aboliamo il reato di diffamazione perché i giornalisti vengono spesso assolti? - si chiede -. E che rapporto c'è con la norma sul fatto di raccontare gli atti giudiziari testualmente o meno? Che c'entra Zuccheddu? Ma chi se ne frega".

Zurlo non ci sta e controreplica: "La procuratore generale di Cagliari dice che secondo lei Zuccheddu è innocente, con delle evidenze, e l'Appello ci mette due anni a terminare la revisione, con un signore che era in carcere da trent'anni". Il giornalista del Fatto: "Ma non lo sapevano ancora che era innocente, era la richiesta del pm". "Ah, quindi allora poteva stare in galera anche quarant'anni", risponde l'editorialista de Il Giornale.

L'aspra polemica di Travaglio su Berlusconi

Davanti a una platea non esattamente a lui favorevole - che spesso applaudiva a scena aperta Travaglio - Stefano Zurlo ricorda come si è comportato il giornalismo con il processo Ruby contro Silvio Berlusconi, poi assolto. "Nella prima udienza a Milano una collega della Bbc e mi disse che trovava meraviglioso che noi potevamo parlare degli orgasmi del presidente del Consiglio senza essere arrestati - rivela -. E in effetti c'erano illustri colleghi italiani che addirittura avevano fatto degli instant book colpevolisti scritti durante la fase d'indagine. Là tutto era già stato deciso ben prima della sentenza, che era quasi diventata solo un dettaglio".

E qua gli animi si surriscaldano. Il giornalista torinese sbotta: "Quella collega inglese è una somara: primo perché non aveva capito che quel processo riguardava un reato che aveva istituito Berlusconi, cioè la prostituzione minorile, e poi perché in Inghilterra pubblicano tutto, come l'intercettazione di Carlo con Camilla". Per poi concludere: "Che i giornalisti chiedano al governo di tagliargli le dita in modo che non possano scrivere, io lo trovo veramente curioso".

Il chiarimento offerto successivamente da Zurlo diventa doveroso, visto che il discorso era più generale: "Io credo che andrebbe fatta un'autocritica da parte della nostra categoria sul fatto che spesso abbiamo pubblicato intercettazioni e pezzi di verbali per poi rendersi conto che quello che all'inizio appariva in un modo poi si era rivelato esattamente l'opposto una volta letto il documento per intero". Ribadisce inoltre che nel Regno Unito nessuno si sarebbe sognato di aprire un processo che avrebbe colpito la loro immagine in maniera così potente.

Marco Travaglio risponde a muso duro: "Ma perché là non c'è mai stato un premier che si portava ottanta mignotte a casa".

All'esternazione improvvisa dell'ex compare di Santoro, chiude pacatamente il discorso Zurlo una volta ripresa la parola con un'analisi garantista: "Io resto convinto che servirà sviluppare una seria ulteriore riflessione su una vicenda giudiziaria che ha segnato l'opinione pubblica italiana e sarebbe interessante ripensare su come questi processi siano stati fatti (e che hanno prodotto i risultati che abbiamo visto tutti) sulle molte assoluzioni e sull'immagine complessiva del nostro Paese".

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