Dalla Tav al Salento il "popolo del No" non va mai in ferie

Dopo Alta velocità e Muos è rivolta contro il gasdotto Tap. Così il Paese è ostaggio dei veti che paralizzano la crescita

Dalla Tav al Salento il "popolo del No" non va mai in ferie

Milano - Se a dire sempre «no» è un bimbo di due anni, tranquilli, non c'è da preoccuparsi. I pediatri spiegano che è una fase della crescita, dura una ventina di mesi ma poi passa. Il problema è quando ritorna negli studenti fuori corso - per lo più bamboccioni - in impiegati frustrati a forza di pensare che gli altri hanno sempre qualcosa in più, pur non meritandolo; oppure fa capolino in quei pensionati nostalgici che esaudiscono un sogno di gioventù: diventare finalmente un leader. Leader di un popolo che protesta a prescindere, solo per il gusto di dire «no», per la voglia di distruggere, per il piacere che prova ad essere sulle barricate, sicuro di essere nel giusto, paladino della verità assoluta.

Sono quelli pronti ad arrampicarsi sui tralicci dell'alta tensione, rischiando anche la vita per il proprio ideale - l'importante è che ci sia una telecamera accesa - quelli che passano l'estate lì, nella tenda che sembra un forno, anche perché al mare sarebbe costato di più e magari ci si divertiva di meno. Dal Nord al Sud, non c'è angolo d'Italia che non li conosca, che non li abbia visti sfilare compatti almeno una volta, anche perché poi a guardali bene, quelli più scatenati rimbalzano da una protesta all'altra, da un «no» all'altro come palline da ping-pong, sempre in prima fila a rilasciar dichiarazioni come fossero dei mantra. I più famosi sono i No-Tav: protestano contro l'Alta velocità, le forze dell'ordine e i politici. Si scagliano contro chi osa dire che solo così l'Italia entrerebbe a far parte del corridoio europeo attraverso il quale arriverebbe sviluppo e occupazione.

I No-Tav sono quelli che protestano contro le linee ferroviarie ad Alta tecnologia e poi si fanno beccare sul Frecciarossa, quelli che in campeggio in Val Susa ci vanno d'estate quando si respira aria fresca e non certo d'inverno, quando nevica. Il popolo del «Non fare», quello più moderno, organizzato per gli spostamenti e i blitz contro le forze dell'ordine, quello con le pietre e le molotov nel sacco a pelo, è nato proprio sulle montagne olimpiche e poi si è auto-clonato all'infinito. Hanno così preso vita centinaia di «no» che spuntano come funghi ovunque. Non esiste infrastruttura, discarica, centro commerciale che si rispetti che non abbia il suo comitato di protesta. No al ponte di Messina e poco importa se è un'opera fondamentale per il Paese; no alla discarica a Roma e al termovalorizzatore in Campania, anche se Napoli muore soffocata dai rifiuti; no alla liberalizzazione dell'acqua anche se significa perdere metà della risorsa idrica per infrastrutture obsolete.

Ultimi in termine di tempo, no al Muos, il sistema di comunicazione satellittare della base americana in Sicilia e

al Tap, il gasdotto nel Salento. No a tutto e se proprio deve essere, che almeno sia nel giardino del vicino. Però smettiamola di lamentarci per l'emergenza rifiuti, le bollette della luce troppo care e i trasporti lumaca.

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