Un morto ogni 5 minuti. Mai tanti cristiani perseguitati nel mondo

Ostilità e restrizioni in 100 Paesi. In Corea del Nord 70mila nei campi di prigionia

È Natale, certo. I cristiani nel mondo sono più di due miliardi e in questi giorni cercano di sorridere al bambin Gesù, Natale dovrebbe essere una festa di gioia. Ma non lo è quest'anno: i cristiani sono in guerra, devono mettersi in giuoco perché cessi la grande, nuova, persecuzione religiosa dei loro fratelli, le stragi, gli incendi delle chiese, le perquisizioni nelle case per scovare croci e vangeli. In questi giorni è uscita la World Watch List del 2013, una analisi professionale compilata dagli analisti di Porte Aperte sulle persecuzioni nel mondo. Essa prende in considerazione 5 parametri della libertà dei cristiani di vivere liberamente la loro fede: nel privato, in famiglia, nelle comunità, nella chiesa, nella vita pubblica. C'è poi una sesta area che misura il grado delle violenze ricevute. Le cifre sono enormi: si varia dai cento milioni di perseguitati valutati dall'Osce ai duecento che denuncia il Comece, ovvero il Commissariato degli Episcopati della Commissione Europea; 105mila cristiani l'anno vengono assassinati per la loro fede, uno ogni cinque minuti. Porte Aperte afferma che sono 65 Paesi in cui i cristiani vengono perseguitati, e secondo il Pew report americano sono 111 i paesi in cui devono affrontare restrizioni e ostilità. L'inaspettato primato nei top ten, lo detiene della Corea del Nord: essa organizza orribili campi di prigionia in cui affondano fra i 50mila e i 70mila cristiani; basta avere a casa un libro, un'immagine e sei un traditore di Kim Jong Un, il nuovo leader. Molti cercano di fuggire, e in una caccia spietata vengono riacchiappati al confine con la Cina. Sui primi dieci paesi persecutori, ovvero Arabia Saudita, Afghanistan, Iraq, Somalia, Maldive, Mali, Iran, Yemen, Eritrea, otto sono islamici. Il Mali e l'Eritrea per la prima volta in lista e l'Etiopia che sale dal 38esimo al 15esimo posto, ci parlano dell'islamizzazione estremista dell'Africa. La Libia sale dal 27esimo posto al 17esimo, la Tanzania che non era fra i primi 50 sale al 24esimo, la Nigeria resta al 13esimo. Naturalmente la Siria, salita dal 36esimo all'11esimo posto, è un fuoco della tragedia in corso. Da quasi due milioni i cristiani sembrano già ridotti a 400mila.
Settembre è stato un mese di orrore: nella zona di Maloula, antica patria siriano-cristiana dove si parla aramaico, al Qaida ha lanciato mortai e missili su almeno due antiche chiese prima di saccheggiarle; 80 cristiani che cercavano di difendere le loro case sono stati uccisi, altri sono stati minacciati di morte se non si convertivano all'Islam. Le parole di un cristiano prima di essere ucciso sono state: «Sono cristiano, se mi volete uccidere per questo non mi opporrò». Una monaca presente al sacrificio ha detto: «È un martire nel pieno». Su tre persone fermate a Thawrah, due musulmani sono stati rilasciati, il terzo, cristiano, è stato ammazzato. Distrutta la chiesa ortodossa di San Sergio; a Raqqah una città nel Nord della Siria, bandiere di al Qaida hanno preso il posto delle croci mentre venivano distrutte le statue della Madonna. E in Pakistan a Peshawar la Chiesa di «Tutti i Santi» è stata fatta saltare: 90 sono morti e 120 feriti. In Egitto i Fratelli Musulmani hanno distrutto almeno 80 chiese e hanno preso a estorcere denaro dagli abitanti cristiani con la spiegazione che si tratta della jizya, il tributo che i dhimmi, i non islamici, devono pagare «con sottomissione volontaria e sentendosi soggetti» come dice il Corano. In Libia due giovani sono stati prima picchiati, poi costretti a recitare «non c'è altro Dio fuori di Allah (...)» e al loro rifiuto sono stati uccisi. In Nigeria morti 5 cristiani. Anche in Iran una donna in possesso di un Vangelo è stata accusata di sedizione. Dalla Turchia, i cristiani stanno andandosene, come anche dal Libano. Che cosa ha incrudelito tanto la situazione dei cristiani nel mondo arabo? Il loro antico ruolo tuttavia spesso è stato connesso al tema della modernizzazione fosse essa socialista o nazionalista, o tutte e due le cose insieme. Un arabo cristiano è spesso un arabo progressista, capace di vivere con maggiore agevolezza le aperture del mondo. Poi, è arrivato lo tsunami delle «primavere arabe». Esse hanno molto peggiorato le sue precarie condizioni in una società tendenzialmente sospettosa e esclusiva. La primavera araba ha creato uno scontro micidiale fra sciiti e sunniti, ha esaltato le parti più estreme, quelle dei Fratelli musulmani, dei salafiti, di Al Qaida, di coloro che ritengono che nella Umma musulmana non ci sia spazio altro che per la propria fede. L'aggressività sunnita più estrema è caduta con odio e crudeltà sui luoghi in cui i cristiani sono sospettati di intelligenza col nemico sciita, come in Siria o in Libano.

«Anche noi palestinesi cristiani in Israele - dice Padre Peter Mardos, sacerdote gerusalemitano, professore di Teologia e Scienze bibliche e capo ufficio del Centro pastorale biblico presso il Patriarcato latino, che negli anni ha sempre avuto il coraggio di testimoniare le sofferenze dei suoi correligionari e l'espulsione da Betlemme, la casa di Gesù, dove i cristiani sono ridotti dal 90 a 35 per cento - abbiamo sofferto anche per l'accusa di aver perso la nostra identità palestinese, ma non è affatto vero, siamo patrioti palestinesi fedeli alla nostra storia. Ma questo non impedisce di lanciare un appello per la nostra salvezza. La nostra eliminazione dallo scenario Medio Orientale è profonda e definitiva, un pericolo per tutti».

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