Il processo per la trattativa Stato-mafia si aprirà il 27 maggio davanti alla seconda sezione della Corte di Assise di Palermo. Il gup di Palermo, Piergiorgio Morosini, ha rinviato a giudizio dieci imputati per la presunte trattativa tra lo Stato e la mafia. Il solo tra gli imputati ad ascoltare il verdetto in aula è stato Massimo Ciacimino. Nel pronunciare la decisione il gup ha irritualmente letto sue considerazioni sull’indagine criticandone la conduzione e sottolineando che per molti aspetti è stato necessario svolgere integrazioni probatorie durante l’udienza prelimninare.
Per attentato mediante violenza o minaccia a un corpo politico, giudiziario o amministrativo dello Stato, aggravato dall’agevolazione di Cosa nostra, sono stati rinviati a giudizio i boss Totò Riina, Leoluca Bagarella e Nino Cinà, l’ex pentito Giovanni Brusca, gli ex generali del Ros dei carabinieri Antonio Subranni e Mario Mori, l’ex colonnello Giuseppe De Donno, il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. Non nasconde il suo rammarico l’avvocato Giuseppe Di Peri, uno dei legali di Marcello Dell’Utri, per il rinvio a giudizio del suo assistito: "Avevano dato elementi a iosa, speravamo che venissero presi in considerazione ma purtroppo non è stato così". L’ex presidente del Senato ed ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, sarà processato solo per falsa testimonianza, mentre Ciancimino anche per concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia. Tra le parti civili era presente Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso nella strage di via D’Amelio, che si è costituito con il suo movimento Agende rosse. La richiesta di rinvio a giudizio era stata riformulata il 28 febbraio scorso, al termine dell’integrazione probatoria disposta dal Gup, dai Pm che l’avevano già espressa il 10 gennaio scorso. Un altro imputato, l’ex ministro democristiano del Mezzogiorno Calogero Mannino, aveva in precedenza chiesto e ottenuto di essere processato col rito abbreviato. Il giudizio per lui comincerà il 20 marzo. È stato invece sospeso dal gup, martedì scorso, il procedimento per il capomafia corleonese Bernardo Provenzano, dopo che i periti hanno escluso una sua "capacità anche minimale di potter partecipare coscientemente al processo", a causa delle sue condizioni psichiche compromessa in parte da una forma di Alzheimer e in parte dall’intervento per la rimozione di un’ematoma cerebrale che il boss si era procurato cadendo in cella.
Nel pronunciare la decisione con cui ha rinviato a giudizio i dieci imputati. Morosini ha bacchettato la procura spiegando che "il materiale acquisito non è pervenuto al giudice in forma organica per singole posizioni processuali in maniera intelleggibile". "La memoria che è stata prodotta il 5 novembre dalla Procura non affronta il tema delle fonti di prova", ha insistito il gup di Palermo che ha emesso un "decreto di scomposizione dei fatti e indicazione analitica delle fonti di prova" messe a disposizione delle parti. "Questa decisione fa giustizia delle critiche preconcette di chi ha parlato di fantasia e teoremi", ha commentato il sostituto procuratore Nino Di Matteo spiegando che la decisione è "una tappa importante" e uno stimolo per "andare avanti nelle ulteriori indagini per accertare cosa sia avvenuto in un periodo fondamentale della storia della nostra Repubblica".
"Il dato incontrovertibile è che questa è una tappa di avvicinamento alla verità - ha commentato il procuratore agiunto di Palermo, Vittorio Teresi - cosa che avviene su iniziativa esclusiva della magistratura e della procura di Palermo mentre le altre autorità hanno solo espresso critiche e giudizie preconcetti".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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