Tutta la verità che Fini non racconta

In un libro Mazza e Urso ripercorrono gli errori che hanno portato l'ex leader di An a sparire dalla scena

Tutta la verità che Fini non racconta

Roma - Vent'anni, dal 1993 al 2013. Una notte, quella del gennaio 2013 in cui Silvio Berlusconi sbianchettò dalle liste elettorali del Pdl la destra italiana. In mezzo, la parabola autodistruttiva di un uomo, Gianfranco Fini, che è stato l'ostetrico e il becchino della destra di governo chiamata Alleanza nazionale.

Vent'anni e una notte (Castelvecchi, 384 pagine, 19,50 euro) è il titolo del libro in cui due protagonisti di quella stagione della politica italiana - il giornalista Mauro Mazza e il parlamentare Adolfo Urso - raccontano questo percorso politicamente incomprensibile e umanamente tragico con il registro dei testimoni e non degli storici. Le loro voci alternate dialogano fittamente sulle origini e la fine di Alleanza nazionale, soffermandosi lungamente sulla lunga ascesa e la rapida picchiata di Fini, a cui dedicano diversi capitoli.

I due identificano i semi del disastro nella stagione del «predellino», alla fine del 2007. Berlusconi accelera sul progetto del partito unico del centrodestra ma Fini, scrive Urso, «liquida l'iniziativa di Berlusconi come un tentativo maldestro e inaccettabile di annessione». Fini ostacola il progetto, ma per opportunismo risale sul carro del Pdl quando cade il governo Prodi e si va alle urne, a inizio 2008. «Ha paura - scrive Urso - che Berlusconi possa sostituire An con La Destra di Storace. Non a caso Fini pone una sola condizione: (...) nessuna intesa col partito di Storace».

Poi un precipitare di errori politici e di sgarbi umani. Fini scarta la possibilità di diventare segretario del Pdl e, scrive Urso, «vuole fortemente e solo la presidenza della Camera». «Invece di scommettere sulla conquista interna sceglie la strada della rottura», pregiudicando «il suo futuro personale, quello della nostra comunità e, perfino, alla luce degli avvenimenti successivi, quello della nostra Italia». Nel 2010 lo strappo: Fini prende posizioni anomale su diritti civili, immigrazione, giustizia; in una drammatica direzione nazionale del Pdl, il 21 aprile, sfida platealmente Berlusconi che sul palco sta replicando ai suoi attacchi: «Che fai, mi cacci?». L'uscita dal Pdl, la nascita di Futuro e libertà presto consegnata all'ala massimalista di Italo Bocchino, il rifiuto dell'offerta del Cav di fare di Fli la «terza gamba» del centrodestra, il tentativo non riuscito di far cadere il governo Berlusconi, l'irrilevanza politica sancita dalle ultime elezioni.

Poi c'è il capitolo familiare. La compagna Elisabetta. Il cognato Giancarlo Tulliani. Mazza, allora direttore di RaiUno, ricorda: «Il ragazzo vuole produrre programmi per la tv. Fini mi chiede di dargli una mano». Mazza gli offre uno spazio pomeridiano di 15 minuti, ma il giovane scalpita: «Ha fretta e smania, Esagera. Una volta, al telefono, è addirittura sgarbato (...) Decido di non vederlo né sentirlo più. Mando a Fini un biglietto, gli chiedo di tenerlo a freno, anche perché circolano voci di altre sue smanie, con altri dirigenti Rai e con esponenti politici di governo». Fine dei rapporti di Mazza con Fini.

Urso ha amarezze diverse. Lui che nel 2010 lascia il governo, dove è sottosegretario, per seguire il presidente della Camera nell'avventura suicida di Fli, ricorda un suo colloquio con Enrico Letta, garante Pd del dialogo con Fli: «È lo stesso Letta a fornirmi la sua interpretazione lucida e non solo interessata»: “La scelta di Fini è cieca sul piano politico (...). Ma la scelta è ancora più allarmante sul piano morale.

Potremmo mai fidarci di chi, nel momento di massima debolezza, come è oggi, uccide chi ha messo il proprio petto a fargli scudo e si è dimesso dal governo come te e Ronchi? Ma cosa sarebbe capace di fare un uomo così, se dovesse ritornare potente, magari in un ruolo ancora più importante?”». Una domanda che per fortuna l'Italia sembra proprio non debba porsi più.

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