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Tutti i trucchi per scappare dai Cpr

Molti detenuti si aggrappano alla "vulnerabilità". Così le porte dei centri si spalancano

Tutti i trucchi per scappare dai Cpr
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Le vulnerabilità. Passa per questa scivolosissima parola la via di fuga di molti migranti, stretti nella terra di mezzo dei Cpr. Ogni anno, quasi tremila persone sono rinchiuse nei Centri di permanenza e rimpatrio, in attesa di essere effettivamente espulse. E, come ha raccontato ieri il Giornale, si tratta per la stragrande maggioranza di pregiudicati, individui socialmente pericolosi che portano sulle spalle pene definitive o, in certi casi, condanne di primo grado per reati importanti se non gravissimi: rapina furto e spaccio, ancora violenza sessuale e omicidio.

Il destino di questi soggetti non e però segnato come potrebbe sembrare: la Direttiva, disposta dall'allora ministro dell'Interno Luciana Lamorgese il 6 giugno 2022, ha alzato l'asticella dell'idoneità alla vita nel Cpr e, senza idoneità, come peraltro è giusto che sia, il ragazzo in questione deve essere immediatamente liberato e può tornare a bivaccare sul territorio. Anche se è clandestino, anche se ha collezionato anni e anni di galera e magari è appena uscito di prigione. Anche se dovrebbe essere a un passo dal rimpatrio. Non importa. Il punto è far emergere le vulnerabilità, o patologie anche di tipo psichiatrico, e a questo si dedicano avvocati bravissimi in grado di far deragliare il convoglio dell'espulsione.

Tanto per cominciare, Lamorgese toglie ai medici dei Cpr (o meglio di chi li gestisce) il compito di verificare lo stato di salute dell'irregolare al momento dell'ingresso o in una fase successiva, ma poi allarga il campo minato delle incompatibilità: «Lo straniero accede al centro previa visita medica volta ad accertare l'assenza di patologie evidenti che rendano incompatibile l'ingresso e la permanenza del medesimo nella struttura, quali malattie infettive contagiose e pericolose per la comunità, disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative...». L'elenco però non finisce qui: «La certificazione medica deve comunque attestare la compatibilità delle condizioni di salute o di vulnerabilità...» È il varco che si apre, perché la vulnerabilità non è codificata rigidamente e fatalmente, pur con le migliori intenzioni, si introducono in un sistema già farraginoso ulteriori elementi di discrezionalità.

Gli avvocati naturalmente fanno il loro mestiere e trovano appigli per ottenere la liberazione dei loro clienti, altrimenti destinati a partire perché già espulsi dal prefetto. Il tutto, va da sé, quasi sempre con il gratuito patrocinio e a carico dello Stato. I medici, poi, che non sono più quelli interni a quel mondo, vengono talvolta incontro alle obiezioni dei legali. Risultato: l'operazione ritorno a casa si incaglia e alla fine evapora. Si può sostenere che la riforma Lamorgese abbia reso più garantista tutto questo processo e si può anche pensare che affidare a camici bianchi esterni il controllo delle condizioni di salute dei migranti sia una garanzia in più di trasparenza e neutralità. Tutto vero. Ma le conclusioni sono spesso imbarazzanti: il clandestino che aveva già un piede sull'aereo a quel punto si ritrova libero e riprende la sua partita a scacchi con le istituzioni. Peccato che sia quasi sempre un uomo con un pesante curriculum penale, insomma un rischio per la società e anche per se stesso: se, come raccontato ieri dal Giornale, il migrante ha un'alterazione del comportamento che lo rende incompatibile con il cpr, chi curerà quel disturbo? Nessuno, perché l'unico risultato è l'uscita dal carcere. Così, con lo scudo di questa diagnosi, Mohamed è fuori, e ha lasciato il Cpr della Basilicata nell'agosto scorso. Trascinando i suoi problemi in mezzo alla strada.

Vulnerabilità. Una fragilità dell'io, ma non solo in una sorta di nouvelle vague del disagio profondo. Sottolineata anche dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale in un volume che circola molto fra gli avvocati: Linee guida sul monitoraggio dei rimpatri forzati.

In poche pagine è descritta tutta la prima linea su cui si muovono gli studi legali più agguerriti. Dai Cpr si può svoltare di qua o di là: più del 50 per cento degli espulsi parte, ma gli altri schivano il volo e ricominciano la vita di prima.

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