Un'eroina nella terra accusata di razzismo

Choc nel Bergamasco: la dottoressa Eleonora Cantamessa si era fermata per strada ad aiutare un indiano colpito a coltellate. Gli aggressori per finirlo travolgono entrambi con l'auto

Un'eroina nella terra accusata di razzismo

Neppure papa Francesco oserebbe sperare tanto, parlando di immigrazione e di accoglienza: una giovane italiana per bene, sola, si ferma lungo una statale di provincia, nel buio della notte, a soccorrere uno straniero ferito. Per tutti quanti, adesso, è giustamente una nuova eroina (e voglio vedere come può Napolitano negarle un riconoscimento solenne). Ma dal suo punto di vista, come spiega la stessa mamma in lacrime, Eleonora non ha fatto niente di stratosferico: da bravo medico, e potremmo anche evitare il bravo, ha obbedito al richiamo della missione e semplicemente ha provato a salvare una vita, lei che da ginecologa e ostetrica tutti i giorni lavorava sulla vita. Ancora una volta, in questa strana nazione, chi pratica nobilmente la propria normalità si ritrova improvvisamente nella più incredibile eccezionalità. Piuttosto, per tanti italiani suonerà eccezionale soprattutto l'anagrafe di questa santa donna. La coincidenza: è conterranea di Calderoli.

È figlia cioè di quella terra bergamasca, cuore di Lombardia, considerata infetta dal morbo impronunciabile chiamato razzismo. È molto difficile incastonare Eleonora tra le certezze consolidate dei nostri luoghi comuni: quella zona, quella gente, quella cultura sono paradigma assoluto di egoismo e insensibilità, terra promessa di nuovi barbari e palancai. Eppure, per forza o per amore, bisognerà rivedere qualcosa in questa geografia culturale, ingiusta e brutale almeno quanto quella di Calderoli. Per sovrapprezzo, assieme alla dottoressa stavano soccorrendo l'immigrato moribondo altri giovani del posto, uno rimasto ferito gravemente. Come spiegarci allora questa notte e questa gente? Nell'unico modo possibile, se ancora ci restasse un minimo di intelligenza libera, libera dai paraocchi e dai pregiudizi: riconoscendo che Eleonora e gli altri ragazzi intervenuti per aiutare il forestiero dalla pelle ambrata non vivono in una zona tetra e minorata, disumana e razzista.

Per una sparata di Calderoli, questa terra offre invidiabili esempi di integrazione. Per uno slogan berciato a Pontida, questa terra vanta il primato di generosità nelle sottoscrizioni umanitarie, siano esse per le ricostruzioni dopo le catastorfi o per la ricerca medica. I derelitti di terremoti e alluvioni l'hanno imparato sulla propria pelle: quando la natura flagella, tra i primi a intervenire ci sono sempre gli alpini bergamaschi. Senza troppe chiacchiere, senza far pesare niente. Se mai, in questa terra di gente pragmatica e realista, si sopporta poco un certo genere di immigrazione e di accoglienza. Cioè quel genere politicamente corretto, facilone e cialtrone, che serve certo a sciacquarsi le coscienze nei salotti buoni, ma che apre le porte a tutti solo per creare nuovi disperati e nuovi disadattati. In questa terra di gente pratica si pretende che ciascuno lavori e viva del suo, possibilmente rispettando le regole e le persone. Non è una terra di idealisti e di francescani, è una terra che semplicemente offre accoglienza quando può permettersela, in modo dignitoso e decoroso. Altrimenti, preferisce chiudere la porta. Stando così le cose, il minimo che si meritano Eleonora e la sua famiglia è il rispetto. Eleonora non riabilita niente e nessuno, perché non c'è niente e nessuno da riabilitare.

Eleonora era semplicemente uno di questi italiani normali, che vivono in una regione normale, capace di grandi slanci generosi e di qualche inevitabile bassezza. La giovane dottoressa bergamasca non è santa e non è eroe. Piuttosto, converrà registrare una dolorosa verità: l'Italia dell'accoglienza cialtrona l'ha fatta martire.

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