Era uscito allo scoperto platealmente nel 2018, nel bel mezzo dell’incontro mondiale delle famiglie in corso a Dublino, accusando direttamente il Papa di aver insabbiato casi di molestie su minori e seminaristi, compiuti dall’ormai ex cardinale americano Ted McCarrick, arcivescovo emerito di Washington. In quell’occasione, aveva chiesto anche le dimissioni di Francesco: una mossa studiata nei dettagli. Da allora è stato un crescendo di accuse e veleni contro il Pontefice, diventando una star dei social, paladino dei cattolici negazionisti del Covid e dei leoni da tastiera, sostenuto da ingenti donazioni e appoggi politici d’Oltreoceano. L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio negli Stati Uniti d’America, finisce adesso in giudizio in Vaticano, un «processo penale extragiudiziale» del Dicastero per la Dottrina della Fede, l’ex Sant’Uffizio, che ha citato il monsignore con l’accusa di scisma.
L’arcivescovo dovrà rispondere, come si legge nel decreto di citazione, reso pubblico dallo stesso Viganò su X e firmato da monsignor John J. Kennedy, Segretario per la Sezione Disciplinare del Dicastero, di «affermazioni pubbliche dalle quali risulta una negazione degli elementi necessari per mantenere la comunione con la Chiesa cattolica, negazione della legittimità di Papa Francesco, rottura della comunione con Lui e rifiuto del Concilio Vaticano II». Per questo motivo l’arcivescovo è stato convocato ieri in Vaticano per «prendere nota delle accuse e delle prove circa il delitto di scisma di cui è accusato». L’ex nunzio negli Usa si è subito premurato di pubblicare un comunicato sul suo sito, rivendicando la sua comunione con la Chiesa cattolica, parlando di condanna già scritta e di considerare «le accuse come un motivo di onore»: «Credo che la formulazione stessa dei capi d’accusa confermi le tesi che ho più e più volte sostenuto nei miei interventi. Non è un caso che l’accusa nei miei confronti riguardi la messa in discussione della legittimità di Bergoglio e il rifiuto del Vaticano II: il Concilio rappresenta il cancro ideologico, teologico, morale e liturgico di cui la bergogliana “chiesa sinodale” è necessaria metastasi».
Nessuna marcia indietro, insomma, da parte del monsignore che oggi si paragona a monsignor Marcel Lefebvre, l’arcivescovo francese prima sospeso a divinis e poi scomunicato da Giovanni Paolo II nel 1988 per essersi opposto al Concilio, fondando la Fraternità Sacerdotale San Pio X. In effetti era dai tempi di Lefebvre che la Santa Sede non citava formalmente un alto prelato con accuse del genere.
Non solo: Viganò, negli ultimi anni, oltre al rifiuto del magistero di Papa Francesco ha anche attaccato Bergoglio su altri fronti, criticando, ad esempio, le sue aperture verso la comunità lgbtq+ e il suo sostegno ai migranti, considerati dall’arcivescovo «degli invasori».
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