Vendola tace, vuole solo sistemarsi

Dopo il flop spera che Sel confluisca nel Partito democratico. Ecco perché non disturba Bersani su governo e Quirinale

Vendola tace, vuole solo sistemarsi

Roma - La memoria non tradisce, gli uomini sì. Così, quando gli effluvi un po' stupefacenti della primavera arancione ne avevano fatto per qualche mese l'«Obama italiano», l'osannato poeta della sinistra risorta e del Pd redento, Nichi Vendola ha commesso un errore capitale: aveva finito per crederci, almeno un po'. Dunque è persino positivo che oggi Fabrizio Barca, uomo allergico agli ingenui furori che attraversano di tanto in tanto la gente di sinistra, nel consegnargli il documento del Partitone che ha in mente, abbia ridimensionato la portata di quella suggestiva iperbole: «Vedo in Vendola alcune cose di Obama».

In questo scarto di proporzioni, in questa messa a fuoco di ambizioni, tra il prima e dopo, c'è tutta la delusione del mondo di sinistra per quello che i più radicali avrebbero voluto piuttosto che impersonasse il Grillo della situazione. Ma Grillo è Grillo, e anche un po' oltre le sponde percorse da Vendola. Cui non rimane che il ritorno alle origini, il rientro nella casa madre che lo vide coi calzoni corti della Fgci (dove s'era appena formato Barca, peraltro).

Anche Vendola è pronto, e lo sta dicendo in venti salse diverse, dall'antipasto al dolce, tanto per allenare i palati più schizzinosi. L'ex figiciotto prodigo è chiamato già al prossimo congresso dal «giovani turco» Matteo Orfini, che nasce dalemiano e quindi anche un po' stizzito per gli sturbi che Nichi produsse all'ex Capo nelle primarie pugliesi. «Rimescoliamoci» è il termine un po' promiscuo scelto dal leader di Sinistra e libertà, che pure conosce la politica e sa che i tempi non possono essere troppo frettolosi, come vorrebbe gran parte del suo ceto dirigente atterrito dalla mancanza di prospettive. L'«aggancio» al mondo grillino, tentato dopo il boom elettorale e le parole grosse che pure erano volate tra i due schieramenti, non c'è stato e non ci sarà. Anche perché, diciamo la verità, non è sembrato del tutto alieno al gioco di squadra per Bersani. Un avversario diventato alleato e ora un po' di più: un amico e una speranza. «Perché con un governo Bersani il Pd diventa un'altra cosa», scommette.

Per questo Nichi parla poco e non disturba il manovratore, per il quale anzi reclama, nei secoli fedele, «un incarico pieno». Non dice molto neppure del prossimo inquilino del Quirinale, che i nomi si bruciano e comunque a tutto ci pensa Bersani. L'importante è che «non sia il garante della nomenklatura», dice, senza timore dell'ovvietà. Oggi se ne parlerà nella prima Assemblea nazionale convocata dopo le elezioni, anche se non sarà certo il tema più importante e delicato per i quadri di un partito in via di trasloco. Vendola ha preparato l'appuntamento con qualche intervista, la rinuncia al seggio parlamentare e alle indennità (certi sospetti l'hanno fatto molto arrabbiare) e un quadro della situazione non molto esaltante, considerato che il dibattito dura dai tempi di Bertinotti e giunge al suo epilogo dopo oltre un lustro di delusioni cocenti. Si deve ricostruire la sinistra. Già. «Dove si gioca la partita, dove si combatte? », s'interroga Nichi, finalmente convenendo che è meglio stare nel socialismo europeo e soprattutto, se si sta al 3 per cento, in una forza ben più grande. «Dove una tendenza minoritaria diventa stimolo, spina nel fianco, contaminazione e lievito», piuttosto che nella ridotta con la bandiera in mano a parlar di ubbìe, come capita a Ferrero e agli ex compagni di Rifondazione.

Ma ciò che spiega al meglio gli approdi di Nichi sono i giudizi su Renzi («Valore aggiunto del centrosinistra», almeno quando non contesta Bersani) e la considerazione

che una scissione del Pd «non va auspicata, pur se facendo un discorso di bottega, potrebbe favorirmi». Ma guarda un po' la vita: Vendola è diventato grande e pensa in grande. Proprio ora che la strada si rimpicciolisce.

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