Il ventennio? Sì, ma delle toghe politicizzate

Sui quotidiani che vogliono in qualche modo dominare la scena politica, la parola d'ordine è minimizzare il berlusconismo

Il ventennio? Sì, ma delle toghe politicizzate

Sui quotidiani - dalla faziosa Repubblica al paludato Corriere della Sera al furbesco Messaggero - che vogliono in qualche modo dominare la scena politica, la principale parola d'ordine che si sta affermando è minimizzare il berlusconismo, non attaccarlo più direttamente ma svilirlo sostenendo che si è alla fine di un fenomeno ormai ventennale che non può rigenerarsi.

Questa tattica politica ha però una basilare difficoltà: i motivi che hanno determinato la tendenza avviata con Forza Italia non si sono esauriti. Così il diffuso senso di oppressione statalistica, il fastidio per un circuito spasmodicamente chiuso dei poteri legati all'establishment (ridotto oramai quasi solo alle banche), l'insofferenza per eccesso di influenze internazionali e radicalismo in salsa nichilistica di molte élite. Ed è dunque il peso della realtà stessa che sta svuotando la propaganda in corso (sgonfiando il borioso palloncino montiano). È questo «peso» che ha imposto il rassemblement delle forze del centrodestra e contiene le improprie pressioni nazionali e straniere.

Però in una situazione complessa non basta la pura forza delle cose per un adeguato sbocco politico: non basta mobilitare la «pancia». Senza un adeguato uso anche del cervello, la resistenza è sempre inadeguata. E per parlare a un pezzo di élite liberali e conservatrici solidali con il centrodestra per un lungo periodo ma oggi in parte sbandate, bisogna dare le chiavi per capire quel che è avvenuto e per spiegare come si potranno superare gli errori. La prima base per un simile sforzo è evitare di «giocare la partita» sul terreno scelto dagli avversari. Dal 1992 al 2012 non vi è stato alcun ventennio berlusconiano: l'ex premier ha guidato tre governi (1994, 2001-2006, 2008-2011) per meno di 10 anni totali, con governi di sinistra per circa 7 anni e tre governi «tecnici» ('93, '95-'96 e 2011-2012) che hanno segnato in modo decisivo la Repubblica con alcune scelte utili di rattoppo emergenziale ma subordinate a influenze straniere tali da provocare guasti profondi.

Il ventennio è questo e va analizzato perché non si è riusciti a difendere a sufficienza la nostra sovranità esponendoci così a un indebolimento complessivo. La causa principale è la crisi della Costituzione, di cui l'esplodere dei comportamenti della magistratura - innanzi tutto di quella politicizzata - è l'espressione più violenta: nell'anno montiano - tralasciando le vicende berlusconiane - vi sono stati caso Ilva, intercettazioni a Napolitano, condanna di Sallusti, persecuzione ad personam di Formigoni, Corte dell'Aquila che condanna scienziati per mancata profezia, sentenze anti-Fiat a Pomigliano e Melfi, processi non conclusi ai preventivamente linciati Mori, Del Turco, Scaglia. L'uscita dai cardini del sistema giustizia è evidente senza che il governo tecnico, pur rappresentato da una persona di qualità come Paola Severino, abbia saputo arginare.

È il blocco della Costituzione - che poi si declina anche nella crisi dei poteri dell'esecutivo, nel ruolo anomalo del Quirinale, nel dramma degli enti locali - il fenomeno ventennale che va inquadrato anche in campagna elettorale spiegando come e perché stavolta il centrodestra saprà affrontarlo.

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