Vermicino e quella presenza "ingombrante" di Pertini

La drammatica vicenda di Alfredino Rampi, morto in un pozzo tre giorni dopo esservi caduto, paralizzò l'Italia intera e determinò una "scomoda" presa di posizione di vicinanza del presidente della Repubblica

Vermicino e quella presenza "ingombrante" di Pertini

Il 10 giugno 1981 non è stato un giorno qualunque per la storia d'Italia, nonostante originariamente molti in realtà ritenessero che quello che stava capitando in una piccola frazione romana fosse da ascrivere a un "mero" episodio di cronaca locale, come tanti ne capitano in giro per il nostro Paese. E invece no. La morte di Alfredino Rampi, caduto e rimasto intrappolato in un pozzo per più di 60 ore a Vermicino, non solo fece scaturire la prima vera "maratona" televisiva d'informazione - nonché, secondo alcuni critici, il primo macabro reality show italiano - ma determinò anche il corso di alcune vicende politico-istituzionali non del tutto indifferenti.

La cronaca di quelle ore

L'episodio è a dir poco drammatico. Alle ore 21.30 di quarantadue anni esatti fa Franca Bizzarri e Ferdinando Rampi lanciano l'allarme: il loro bambino di sei anni non è ancora tornato a casa, nonostante dovesse solo percorrere pochi metri di strada a piedi una volta lasciato solo dal padre nelle campagne di Frascati. Tre ore più tardi un poliziotto, Giorgio Serrandi, sente flebili lamenti giungere da un pozzo artesiano la cui imboccatura è coperta da un pezzo di lamiera. Cadendo, Alfredino si è incastrato in corrispondenza di una rientranza a oltre 60 metri di profondità. Tutti i vari tentativi di salvataggio e gli atti anche eroici di volontari generosi calati sottoterra per raggiungere il piccolo si riveleranno inutili- Ad annunciare la morte del bambino, la mattina di sabato 13 giugno 1981, è il professor Evasio Fava. Il cadavere verrà poi recuperato da tre squadre di minatori di Gavorrano l'11 luglio seguente; ventotto giorni dopo la morte di Alfredino.

Perché diventò così importante quel tremendo fatto di cronaca nera per l'intera Italia? Almeno per tre grandi ragioni. La più importante fu una conseguenza a livello di organizzazione strutturale dello Stato: ovvero l'istituzione pressoché immediata del Dipartimento della Protezione Civile, nata come necessità di un coordinamento dei soccorsi che fosse il più efficace possibile. La seconda, come prima indicato, sono le diciotto ore di diretta Rai a reti unificate a camera fissa durante gli ultimi due giorni dita di Alfredino - che catturarono l'attenzione di circa 21 milioni di persone davanti al televisore per seguirne lo svolgimento - che ne hanno cambiato per sempre la storia. Fu tv verità o l'inizio della tv del dolore? I telespettatori di allora volevano insistentemente osservare il racconto per autentica pietà umana oppure perché si trattava di puro voyeurismo? È complicato fornire una risposta netta dopo più di quattro decenni.

I motivi dell'arrivo di Pertini a Vermicino

Così come è assai difficile dare un giudizio secco sul terzo motivo per cui divenne così dirimente quell'intera vicenda drammatica: ovvero il ruolo istituzionale che svolse Sandro Pertini. Alle ore 16.30 di venerdì 12 giugno l'allora Presidente della Repubblica si precipitò sul luogo della tragedia. Il suo intento era quello di esprimere una vicinanza fisica dello Stato a quella tragedia che era in corso (con la speranza che si potesse trasformare in un lieto fine) e seguire passo passo quello che stava avvenendo all'interno del pozzo del Vermicino. Magari cercando anche di parlare direttamente con il bambino incastrato tramite microfono e cuffia e poi incoraggiando il volontario Donato Caruso (l'ultimo a scendere giù per poterlo salvare).

Di fatto, era la prima volta che un Capo dello Stato italiano si presentava in carne e ossa su uno scenario di cronaca nera (per giunta non ancora terminata) che non vedesse coinvolti esponenti di spicco della politica. Del resto il fresco precedente del terremoto in Irpinia (Pertini aveva tuonato, in un celebre discorso, contro l'assurda disorganizzazione dei soccorsi) era troppo fresco per commettere altri errori di comunicazione. E così il Presidente della Repubblica si trattenne per tutta la serata e la notte, fino alle 7 di mattina dell'indomani. Fece bene oppure no?

Le critiche per quegli assurdi tre giorni

Pertini voleva sostanzialmente fare il punto di persona sul tentativo disperato di salvare il piccolo Alfredino che stava calamitando l'attenzione di tutto un Paese. Il suo sentimento di partecipazione era sincero e autentico ma, ad anni di distanza, alcuni gli hanno rimproverato il suo protagonismo mediatico che - nella sostanza - aveva intralciato le operazioni in corso. C'è da dire tuttavia che, anche senza quella ulteriore confusione generata dall'arrivo del Capo dello Stato, già in quelle stesse ore la speranza di potere trovare il bambino di sei anni ancora vivo erano ormai ridotte allo zero.

L'incompetenza della macchina burocratica, unita ad alcuni errori tecnici e all'improvvisazione, aveva purtroppo contribuito molto a far sì che non si potesse più fare alcunché per salvagli la vita.

Eppure in quella primavera del 1981 l'Italia era lacerata da eventi drammatici e oscuri: l'attentato a Giovanni Paolo II, la pubblicazione della lista della P2, le dimissioni di Forlani da premier, la novità Spadolini (primo governo a guida laica), il rapimento da parte delle Brigate Rosse di Roberto Peci, fratello di Fabrizio (primo pentito delle Br). No: tutto questo passò in secondo piano: per tre giorni tutti gli italiani si fermarono e si strinsero attorno a quel bambino nel pozzo. E, tra loro, era compreso anche il presidente Pertini.

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