Giornalisti in galera, anzi no. Tutto sta nell’avere fortuna, quando si arriva davanti all’Eccellentissima Corte di Cassazione. È andata bene ieri ai due giornalisti della Voce di Romagna , che per avere scritto un articolo ritenuto diffamatorio da due carabinieri si erano visti rifilare dalla Corte d’appello di Brescia sei mesi di galera: con la condizionale, fortunatamente, ma pronti a diventar esecutivi in caso di un’altra condanna. Nello spazzare via la condanna dei giornalisti alla galera, la Cassazione ha sancito principi fondamentali, richiamando i giudici di tutta Italia al rispetto di quanto da tempo ci predica l’Europa, e cioè che punire con la prigione i reati a mezzo stampa non è ammissibile. Bene, molto bene. Peccato che basti spostarsi di due sezioni della Cassazione, dalla terza alla quinta, per trovare quelli che i giornalisti al fresco ce li sbattono volentieri: come accadde nel settembre 2012 quando la Suprema Corte confermò l’anno di carcere inflitto al direttore del Giornale Alessandro Sallusti. A Sallusti, a differenza dei colleghi romagnoli, non venne concessa neanche la condizionale, arrivò la Digos ad arrestarlo in redazione e ci volle l’intervento del capo dello Stato per fare di nuovo del giornalista un uomo libero. Ora, i giudici della terza sezione scrivono il contrario di quello che hanno scritto quelli della quinta. A ben leggere, una finestrella aperta se la tengono, perché - puntualizzano - in «casi eccezionali » la galera si può usare. Ma il principio per il resto è sancito con tale nettezza che la sentenza viene accolta con legittima soddisfazione dall’Ordine dei giornalisti. Se su di loro pendesse la spada dell’arresto, «non sarebbe assicurato il ruolo di “cane da guardia” dei giornalisti, il cui compito è comunicare informazioni su questioni di interesse generale e conseguentemente di assicurare il diritto del pubblico di riceverle».
Ad allarmare la Corte sui rischi che corre di questi tempi la libertà di espressione è stata, a leggere le motivazioni, una considerazione che in apparenza c’entra poco: il fatto che la stampa si trovi «sotto attacco ingiustificato da parte di movimenti politici», riferimento che ieri qualcuno interpretava come rivolto agli attacchi di Beppe Grillo. Ma, qualunque sia il motivo, è comunque un passo avanti. In attesa che si esprimano le Sezioni unite, il cui intervento a questo punto appare inevitabile, è però inevitabile notare che tra le toghe c’è chi,senza troppo preoccuparsi della Corte europea dei diritti dell’uomo, dei moniti del Quirinale e delle proteste dei giornalisti, viaggia nella direzione addirittura opposta. Ieri infatti un giudice ha firmato, in tema di libertà di stampa, un provvedimento senza precedenti. E anche qui, curiosamente, c’è di mezzo il processo ad Alessandro Sallusti, quello in cui la giustizia italiana fece vedere alla stampa la sua faccia più severa. Il giudice di Cassazione che scrisse la condanna di Sallusti, Antonio Bevere, si è ritenuto diffamato da un articolo sulla vicenda e ha sporto querela: niente di male e niente di strano, ci sarà un processo e si vedrà chi ha ragione e chi torto. Ma a Bevere non basta: ha chiesto a un suo ex collega (lui ormai è in pensione), il giudice monzese De Lillo, di sequestrare la pagina del sito del Giornale. it che lui ritiene diffamatoria. Che l’articolo sia diffamatorio non lo ha ancora deciso nessuna sentenza, ma per De Lillo non è rilevante. Il 7 marzo scorso, accogliendo la richiesta dell’ex collega, il giudice «autorizza il sequestro preventivo della pagina web di cui in narrativa con l’oscuramento di essa». E ieri mattina in via Negri arrivano i carabinieri con il decreto in mano e fanno presente: non ce ne andiamo fin quando non cancellate l’articolo dal sito. Non resta che obbedire.
Ma attenzione:l’articolo si può ancora leggere sulla raccolta del Giornale in diverse biblioteche, almeno fino a quando l’ex giudice Bevere non le farà bruciare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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