
“Ho perso parecchi chili. Faccio fatica in tutto. Riesco a tratti ancora a lavorare. Ho sempre dormito poco. Ora passo molto tempo a letto”. Vittorio Sgarbi, in una lunga intervista rilasciata a Repubblica, si confessa e parla della depressione che lo ha portato a ricoverarsi a poche settimane di distanza dallo spettacolo dal titolo Arte e fascismo tenuto al Teatro Olimpico dove era apparso irriconoscibile al suo pubblico.
Sgarbi ha di recente pubblicato Natività, un saggio edito dalla Nave di Teso che ha un sottotitolo molto emblematico: ‘Madre e figlio nell’arte’. “È una relazione che spesso ha toccato la mia mente”, spiega Sgarbi che ricorda con malinconia sua madre: “Vedeva in me quello cui destinare una serie di valori e visioni. In qualche modo mi immaginava come un prolungamento della sua mente. Una creatura tanto fisica quanto del pensiero”. Lei è stata la sua “principale collaboratrice” in ogni aspetto della sua vita professionale, mentre suo padre era “come uno spettatore, davanti a un teatro dove accadevano cose pensate da me e in parte realizzate con mia madre”. Un uomo “misurato, pieno di un ordine del suo mondo”, a differenza di sua madre che era “smisurata”. “Mio padre non era emotivamente interessato alle nostre cose. Lo era sul piano razionale”, dice il noto critico d’arte. Sgarbi parla anche della sua infanzia e si descrive come un bambino “irrequieto e divertito per quello che contribuivo a fare accadere. Un carattere che si è proiettato oltre la fase adolescenziale fino a quella adulta”. Sgarbi racconta di aver scoperta la sua passione per l’arte grazie all’incontro con Francesco Arcangeli “che mi ha indotto a muovermi dalla letteratura verso l’arte”.
E sulle sue intemperanze televisive dice: “Non era una recita a teatro ma la rappresentazione del mio temperamento. Questo è stato il senso della televisione per me”. Oggi, invece, “nel ripensare a certe cose di allora – dice Sgarbi - è come se vedessi un altro me”. Sgarbi non si sottrae neppure alle domande riguardanti la sua malattia che ha voluto rendere pubblica: “Sapevo che se non avessi deciso di andare in ospedale sarei morto entro poco per un’ischemia che, per fortuna, fu presa in tempo. Non c’era ragione che la nascondessi, era la prova che ero riuscito a superare anche quell’ostacolo”. Oggi Sgarbi vive un’esistenza decisamente più tranquilla: “Trascorro una fase di meditazione dolorosa su quello che ho fatto e sul destino che mi attende. In fondo – spiega il critico d’arte ed ex politico di lungo corso - le cose che ho scritto, le opere d’arte che vedi appartengono a un progetto di sopravvivenza. Qualcosa che rimanga e che si prolunghi oltre la vita”. Sgarbi è consapevole che la sua depressione “è una condizione morale e fisica che – dice - non posso evitare”. E svela: “Non ne avevo mai sofferto. Mi sembra un treno che si è fermato a una stazione sconosciuta”. Il critico d’arte affronta, infine, anche il tema della sua vicenda giudiziaria che sta vivendo in modo “devastante” e spiega: “Di alcuni atti, eseguiti in assoluta naturalezza, mi vengono imputati una serie di comportamenti che non erano i miei”. E aggiunge: “Ho sempre cercato di avere cura e attenzione per le opere.
Che dal loro studio, e in certi casi dal loro acquisto, se ne ricavino le mie cattive intenzioni mi crea certamente dei turbamenti sgradevoli”. La malinconia più grande, per Sgarbi, però, è dettata dall’impossibilità di lavorare: “Faccio fatica, e poi vedo male: per uno storico dell’arte non è il massimo”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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