Invito al «sèder», la cena per ricordare

«È un rito collettivo in cui tutti hanno un ruolo, celebrato con allegria e consapevolezza»

Invito al «sèder», la cena per ricordare

Oggi gli ebrei festeggiano «Pèsach», la Pasqua con la quale il popolo di Israele commemora la liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Siamo stati invitati durante i preparativi nella casa dei Fishman, una bella famiglia ebraica cosmopolita che vive a Milano. Tutti partecipano alla preparazione del «sèder» di questa sera, la cena solenne che segna l’inizio della Pasqua ebraica: dalla nonna Marcella Sciama di 93 anni ai figli, nipoti e pronipoti. Sul significato di questa ricorrenza abbiamo parlato con Daniel Fishman, quotato esperto di comunicazione e scrittore. Nel suo ultimo libro «Il chilometro d’oro» (Guerini editore), Daniel racconta l’epopea dei cosiddetti «talianin», gli italiani - ebrei inclusi - costretti ad abbandonare l’Egitto allora sotto protettorato britannico; ma anche la storia della sua famiglia che dopo avere vissuto i fasti di un Egitto ricco e multietnico ha dovuto affrontare la tragedia dell’esilio. Nel 1956, dallo scoppio della guerra di Suez, tutti gli stranieri del Cairo - tra cui i Fishman - furono espulsi da Nasser dopo aver sperimentato l’umiliazione dei campi di internamento.
Come festeggiano «Pèsach» gli ebrei di Milano?
«A Milano e in tutto il mondo è una festa con forte valore pedagogico. Rappresenta un momento di aggregazione e di riflessione. Tutti i presenti leggono e cantano l’Hagghada, l’insieme di testi che raccontano e commentano la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, rendendola presente. I bambini sono invitati a formulare delle domande. È un rito collettivo in cui tutti hanno un ruolo».
Possono partecipare i non ebrei?
«Certo. Al “sèder” è bene che ci siano persone esterne al clan famigliare. Sono sempre più numerose le comunità ebraiche in Italia che organizzano cene aperte a tutti. Del resto la tradizione vuole che ci siano sempre delle sedie vuote: una per il Profeta Elia e per chi altro si presentasse a cena».
Si fanno grandi mangiate…
«Si bevono quattro calici di vino ma anche i cibi hanno un valore simbolico: il “maror” è un insieme di erbe amare per ricordare le amarezze subite durante la schiavitù d’Egitto; il pane azzimo non lievitato rievoca la fretta con cui fu lasciato l’Egitto e il “charoset” è una mistura di uvette, datteri, mele, prugne e cannella (in ogni Paese si usano ingredienti diversi) che simboleggia la malta che gli schiavi ebrei erano costretti a impastare per fare i mattoni».
Dove si acquistano a Milano questi alimenti?
«Ci sono diversi negozi: per esempio da Keter in via Soderini si può trovare il cibo “kosher”, conforme alle normative alimentari ebraiche ma anche, non a Pasqua, il miglior pane della zona. Da Davar, in via San Gimignano, è reperibile invece un vasto assortimento di oggettistica e di libri sulla cultura ebraica».
Come festeggerete questa sera?
«In allegria ma sempre con grande consapevolezza.

In quest’occasione gli ebrei non dimenticano i primogeniti degli egiziani morti e l’esercito del Faraone annegato nel mar Rosso. Si impara così anche a non gioire mai delle tragedie del nemico. Un insegnamento che vale oggi più che mai».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica