"La diagnosi mi è arrivata addosso come un treno: avevo 51 anni, 3 figli e un cancro. Mi avrebbero amputata, via tutto il seno comprese le ghiandole ascellari, i tumori erano tre nella stessa mammella". Era il 2006 Marina (il nome è di fantasia) è all’ospedale di Ferrara, in oncologia. Le dicono che ha un cancro triplo (tre focolai nella stessa mammella) che dovrà sottoporsi a mastectomia, rimuovere completamente i linfonodi ascellari. Poi, appena le ferite saranno cicatrizzate, dovrà affrontare sei cicli di chemioterapia più 30 giorni di radioterapia. Quando avrà terminato inizierà una cura farmacologica di almeno cinque anni, fra pastiglie e flebo.
Oggi Marina è considerata guarita, del tumore originario non c’è più traccia. Ma non hai mai seguito il protocollo che le avevano suggerito i medici di Ferrara, non ha perso il seno ("neppure un pezzetto di ghiandola"), non ha tolto i linfonodi ascellari. Non ha fatto nessuno dei sei cicli di chemio, né la radio nè le flebo, tantomeno ha ingoiato le pastiglie raccomandate. Zero di zero. Ha seguito scrupolosamente, questo sì, la cura Di Bella. E oggi, assieme ad altre 10 italiane colpite da carcinoma mammario che come lei hanno rifiutato intervento e protocollo tradizionale, è un caso scientifico di rilevanza mondiale.
La sua storia clinica è apparsa su riviste mediche (Neuroendocrinology Lecter, International Journal of Gynecological Cancer, banca dati scientifica www.pubmed.gov per dirne alcuni) e discussa al World Cancer Congress di Singapore nel 2010 e a quello di Dalian (Cina) lo scorso maggio oltre che al congresso di Ginecologia italiano che si è tenuto a Milano in settembre. Sono le prime donne considerate guarite - perché sono trascorsi almeno 5 anni dalle diagnosi - senza intervento chirurgico. Il loro cancro si è rimpiccolito man mano “sotto l’effetto dei farmaci, mica di zuccherini” scherza Marina precisando che la cura di Bella “non è una pozione preparata da un santone”.
Al telefono trapela una voce dal timbro fermo, è quella di una donna determinata. “Non credo di essere stata coraggiosa, anzi, penso di essere stata più codarda delle altre…” “Avevo già l’appuntamento fissato, intervento congiunto: rimozione chirurgica e ricostruzione plastica, non mi sono presentata”.
Cosa ha pensato prima di rifiutare l’intervento?
“All’inizio nulla, ero frastornata. Poi ho cominciato a documentarmi. Ho vissuto da vicino il travaglio di amiche e conoscenti reduci da interventi al seno, c’era chi non riusciva più ad alzare il braccio, chi ha avuto brutte infezioni… certo davanti a un tumore non si va tanto per il sottile ma io mi sarei curata pur senza farmi amputare. Diciamo che ho seguito il mio istinto e non mi sono pentita.”
I suoi figli, suo marito e i parenti cosa le hanno detto? “Ognuno ha avuto reazioni diverse, i miei figli sono tutti e tre adulti e laureati. In famiglia siamo abituati a rispettare le scelte di ciascuno. Certo, all’inizio erano contrari, hanno voluto vedere gli esami, capire perché rifiutassi quel protocollo, ma col tempo si sono tranquillizzati”.
Come è arrivata a Di Bella?
“Ne avevo sentito parlare perché la famiglia è di Modena, avevo seguito il discusso caso della sperimentazione nel 1998. Nel frattempo mi ero letta la metanalisi di Moss (una summa di lavori di oncologi e radiologi americani e australiani sull’inefficacia della chemioterapia nella cura dei tumori). Quando spiegai ai medici che non avrei fatto l’intervento ma mi sarei curata in un altro modo mi suggerirono una terapia sperimentale. Non mi parlarono di Di Bella, fui io a dire loro che avrei seguito quella cura…”
Cosa successe poi?
“Seguii le prescrizioni di Di Bella. Per 4 anni. Facevo i controllo periodici: Pet, mammografia, ricerca dei marcatori nel sangue, andavo sempre in centri diversi. Ogni volta i medici si informavano sulle medicine che prendevo, ogni volta restavano di stucco: il mio cancro rimpiccioliva progressivamente, a un certo punto è scomparso del tutto. La mia non è una guarigione spontanea, ho preso farmaci potenti che riducono su più fronti la proliferazione cellulare e provocano l’apoptosi (la distruzione) delle cellule maligne, c’era anche un chemioterapico classico, a bassi dosaggi, non ho mai perso capelli, non ho mai avuto nausee e vomito. Nessun danno agli altri organi, non ho sofferto per insufficienza renale o cardiaca. La stanchezza però l’ho avuta. Nonostante ciò non ho perso giorni di lavoro”.
Si considera fortunata?
“Sicuramente lo sono: sto bene, ho il mio seno e sono contenta per questo ma credo anche che la fortuna vada aiutata…” Si considera guarita? “Non dico ‘sono guarita’ perché non posso sapere
Che cura sta facendo adesso?
“Una terapia di mantenimento senza effetti collaterali, per intenderci: non rischio tumori all’endometrio o tromboflebiti.”
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