New York - «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici». Fu ascoltando la lettura di questo passaggio del Vangelo secondo Matteo che Mosab Hassan, nel cuore di Gerusalemme, capì di voler abbandonare Hamas.
Hassan era nato nelle strade di Ramallah e Hamas aveva sempre rappresentato i suoi sogni storici, l'immaginario religioso e le sue ambizioni represse di un ragazzino cresciuto nelle moschee dove si inneggiava l'odio dell'estremismo musulmano. Aveva giocato a pallone nel cimitero di Ramallah prima che fosse calpestato dai funerali dell'intifada. Hassan aveva sposato l'estremismo e la violenza spinti ai massimi livelli. Dopotutto lui era un «eletto», un ragazzino privilegiato poiché suo padre era lo sceicco Hassan Yousef, uno dei fondatori, nel 1987, di Hamas. Ma poi, dopo essere stato arrestato e dopo aver visto che l'odio di Hamas portava i sui leader a torturare anche i suoi confratelli, Hassan aveva rifiutato l'ideologia che ne aveva fatto un ragazzino che lanciava sassi contro i soldati israeliani e credeva negli attentati suicidi.
«Quando fui imprigionato nel carcere israeliano di Megida - ha raccontato Hassan al giornalista della rete televisiva Fox, Jonathan Hunt, che nei giorni scorsi ha bucato gli indici d'ascolto trasmettendo l'intervista - cominciai a riflettere. Mio zio Ibrahim Abu Salem, era un capo delle brigate di Hassam ed era imprigionato con me. I suoi uomini erano ossessionati dal dubbio che tra di noi ci fossero delle spie. Avevano istaurato un punteggio chiamato «punti rossi». Se uno si soffermava troppo a lungo nella doccia calcolavano che probabilmente era un collaborazionista dei servizi segreti israeliani. Poi, quando il punteggio raggiungeva una certa quota, partivano le torture. Sentivo le urla, di notte. Torturavano ragazzini e vecchi infilando chiodi sotto le unghie, bruciando loro la pelle con brandelli di plastica scottante. Quando vidi che mio zio, che per me era stato un eroe come mio padre, era quello che dava ordine di torturare, provai orrore».
In quei tre mesi di carcere si rese conto che Hamas non avrebbe mai risolto i veri problemi della sua gente. Aveva poco più di 27 anni quando, camminando davanti al Muro del pianto, aveva incontrato un missionario cristiano. «Vieni e ti insegnerò il Vangelo», gli aveva detto. Aveva seguito questa sua ricerca spirituale, sapendo di rischiare la morte perché Maometto aveva detto che «bisogna uccidere chiunque si converta a un'altra religione».
Adesso Hassan vive in California, si è convertito al cristianesimo, aiuta l'Fbi a svolgere la complessa matassa dei segreti di Hamas e promette di dedicare la sua vita a combattere l'estremismo islamico. Al Qaida l'ha messo sulla sua lista dei most wanted, con una taglia sulla sua vita. Non molti sanno che nei giorni di Natale i legislatori di Hamas hanno approvato a pieni voti un codice della Sharia che ha legalizzato l'uso della crocefissione per i nemici dell'Islam. Anche per questo Hassan sta chiedendo asilo politico negli Usa.
«La forza di Hamas sta non solo nelle loro armi ma nelle basi religiose su cui si regge - ha detto alla Fox -. Ma sono convinto che tutte le pareti che l'Islam ha eretto negli ultimi 1400 anni non esistono più. La gente non è più ignorante. Se un padre impedisce a sua figlia di uscire di casa, dal suo computer lei già viaggia attraverso il mondo».
Hassan frequenta la chiesa protestante della Barabbas Road, a San Diego. «Non avevo mai sentito parlare del perdono»,ha ammesso questo giovane convinto che il 95 per cento dei musulmani non capisca la propria religione: «L'islam non è la parola di Dio».
Sono discorsi che ha voluto fare anche a suo padre, prima di dargli l'addio. «Gli ho detto che sapevo che in fondo al cuore era molto lontano dall'odio di Hamas, che si era lasciato trascinare nel terrorismo. Gli ho detto anche che è molto più vicino al cristianesimo di quanto non sappia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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