"Io, la signora Forattini vi svelo il mio Giorgio segreto"

"Da 40 anni a fianco al re della satira. Lui ora è più fragile e l'amore è aumentato. Vorrei che disegnasse ancora, ma quel mondo è cancellato"

"Io, la signora Forattini vi svelo il mio Giorgio segreto"

In un angolo civettuolo di Porta Venezia, a Milano, dove il furore di corso Buenos Aires degrada nella pacatezza di via Spallanzani, c'è un portone che custodisce un segreto. Per scoprirlo, bisogna salire: terzo piano. A sinistra, una porta in mezzo al verde. Siamo lungo la pensilina di un'elegante casa di ringhiera, accompagnati dal genius loci del tempo sospeso. La signora che apre l'uscio è una donna fortunata perché, ormai da 40 anni, divide l'esistenza con l'uomo che è riuscito a riversare la commedia umana nell'inchiostro di 15mila vignette. Quell'uomo si chiama Giorgio Forattini, 91 anni, l'Honoré de Balzac della satira «disegnata», mille volte più efficace di un editoriale scritto.

Lei, la sua seconda moglie, risponde al nome di Ilaria Cerrina Feroni, di nobile casato fiorentino, e sarebbe impossibile descrivere il fascino che promana dalla sua voce, dai suoi gesti; ma, soprattutto, dalle sue parole, che corrono in aiuto ai ricordi sempre più sfuggenti del marito.

Casa Forattini è una calda sala museale con ritratti che ti scrutano fin dentro l'anima e, al tempo stesso, godono della presenza carismatica di un demiurgo dai capelli bianchi e dagli occhi azzurri: il più amato, il più querelato, il più pagato. Nessuno come Forattini ha saputo raccontare, al meglio, il peggio dell'Italia, lasciandola in mutande col semplice gesto di una matita. Il trasgressivo processo di disvelamento forattiniano ebbe inizio nel 1973, portato per gradi la satira in prima pagina: il Gotha del giornalismo ne prese atto e da allora non ha più potuto farne a meno. Forattini ha diretto giornali-cult come Satyricon e Il Male dando a questo mestiere dignità e prestigio, sebbene sia difficile riconoscerglielo, perché lui è un personaggio scomodo, rimasto sempre se stesso.

Quando arriviamo nella sua casa, Giorgio è in cucina: sta facendo colazione. Scruta l'ospite con affettuosa diffidenza. E poi si accomiata: «La lascio con Ilaria, lei ormai sa di Forattini più di quanto io ricordi di me stesso».

La signora Ilaria si accomoda sul divano, poi ci mostra dei fogli. È il suo «diario segreto». Frasi dedicate al marito quand'era all'apice della popolarità, e poi chiuse con il lucchetto dei sentimenti.

Ilaria, se non siamo indiscreti, può leggerci qualche passaggio?

«Vivo da 40 anni accanto a un giornalista scomodo, molto scomodo. Purtroppo non è vero che in un Paese libero come il nostro non si corrono dei rischi a dire la verità. Giorgio l'ha sempre detta, spesso precedendo i fatti, ma questo non gli ha reso la vita facile. In più ha anche avuto successo, imperdonabile in un Paese come il nostro».

Sono le frasi di una donna appassionata, volitiva, di carattere. Ma anche preoccupata per l'uomo che ama.

«L'ho spesso contestato, abbiamo litigato, ma lui non ha mai retrocesso di un millimetro di fronte a ciò in cui ha sempre creduto con onestà intellettuale e storica. Qualche volta confesso che ho sperato, per quieto vivere, che rinunciasse o cambiasse qualche sua vignetta. Non lo ha mai fatto, sapendo di andare incontro a grossi problemi, come infatti è accaduto».

C'è una morale in tutto questo?

«Il tempo gli ha dato ragione. È certo più facile seguire l'onda del conformismo: non sentirai mai di essere attaccato o isolato come invece è successo spesso a Giorgio. Ma poi l'onestà paga sempre, se non altro di fronte a se stessi. Questo è il principio etico che ha sempre insegnato ai giovani».

Ilaria, che avventura è dividersi con Giorgio?

«Entusiasmante. Ieri come oggi. Nei tempi del super impegno professionale, lo chiamavo Isterix per come era sempre agitato, irascibile, pur rimanendo sempre dolce. Oggi la salute è quella che è. Fa una vita molto ritirata e metodica. Mi piacerebbe vederlo ancora disegnare qualcosa, ma ormai la sua testa è altrove. E il passato non torna. Forse è giusto così».

Come vi siete conosciuti?

«Io curavo per la Mondadori la promozione di un suo libro. C'era da organizzare una presentazione, ma lui era irrintracciabile. L'esatto contrario degli scrittori che ti assillano».

Pensò che fosse un tipo che «se la tirava»?

«Esatto. Ma, quando lo incontrai a Venezia, dovetti ricredermi. Era l'esatto contrario: gentile, timido. E poi quegli occhi. Fu un colpo di fulmine. Da allora ogni anno torniamo a Venezia per rifidanzarci».

Entrambi avevate alle spalle storie «tormentate».

«Sì, e forse i dolori hanno cementato il nostro rapporto».

Quali dolori?

«Giorgio ha sofferto per la separazione dalla prima moglie e per non aver più potuto vedere i figli piccoli. Poi la morte prematura del secondogenito Fabio è stata una ferita che lo ha segnato nel profondo».

In compenso il successo professionale aumentava a dismisura.

«Il mito di Forattini cresceva. Ma con la gloria aumentavano pure invidie e malignità».

Dagli inizi a Paese Sera all'apoteosi di Repubblica.

«Repubblica è stata la creatura perfetta frutto di un sodalizio tra due talenti: quello di Scalfari e quello di Forattini».

Due icone del giornalismo.

«Tra loro epici scontri. Che esplodevano però su un fondo comune di stima e affetto reciproci. La recente morte di Eugenio è stata un grande dolore».

Ma le frecciatine erano all'ordine del giorno. Come quella volta che, all'indomani dell'attentato terroristico contro Montanelli, Forattini fece una vignetta con il direttore Scalfari, che invidioso dell'eco mediatica ottenuta da Indro, si sparava ad un piede.

«Perfino in quell'occasione nessuna censura. La vignetta andò regolarmente in pagina».

Poi la corte spietata dell'Avvocato Agnelli e il passaggio alla Stampa per un miliardo di lire.

«Cifra folle per quei tempi. Ma Gianni considerava Giorgio un talento assoluto. E il talento si paga».

Ma uscire dall'orbita «progressista»-radical chic di Repubblica per passare al «giornale dei padroni» scatenò le maldicenze dei compagni.

«Sì, gli dettero del traditore, del venduto, dell'esoso. Perfino l'acquisto di una casa a Parigi divenne motivo di critiche assurde».

Ma perché «traditore»?

«Il popolo di Repubblica si era convinto che Forattini fosse un comunista o qualcosa di simile. La verità è che invece lui è sempre stato un liberale. E questo dava fastidio a tanti».

Cos'è che dava più «fastidio»?

«Il fatto che Giorgio non facesse sconti a nessuno. Picchiava duro a sinistra, a destra e al centro. Per questo si è beccato querele in maniera trasversale».

«Celebre» il super risarcimento chiesto (tre miliardi!) da D'Alema per la vignetta sullo «sbianchetto».

«Tra i potenti facevano a gara a chi chiedeva più soldi: De Mita (con la coppola da mafioso), Craxi (con gli stivaloni mussoliniani), Leoluca Orlando (con la Sicilia a forma di testa di coccodrillo dopo l'attentato a Falcone) e tanti altri».

Con qualche, sorprendente, eccezione.

«In primis quella di Andreotti, uno sempre nel mirino di Giorgio. Ma, nonostante ciò, da lui mai querele. Solo apprezzamenti quando disse: È stato Forattini a inventami».

Che classe.

«La stessa classe mostrata anche da Berlinguer, rappresentato seduto in poltrona con la vestaglia da camera mentre fuori i lavoratori scioperavano. E poi Spadolini».

Spadolini, disegnato con un pisello piccolissimo.

«Una volta, Suni Agnelli (su commissione, pare, dello stesso Spadolini) chiese a Giorgio: Ma perché disegni il pisello di Spadolini così piccolo? Glielo hai mai visto?. E Forattini rispose: No, ma lui è un putto. E i putti hanno il pisello piccolo».

Nel bestiario forattiano anche un Veltroni in versione bruco e Buttiglione modello gorilla. Look da curato di campagna, invece, per Prodi.

«Giorgio si è sempre divertito. Nemico di ogni integralismo e refrattario a qualsiasi censura. E quando qualcuno ha cercato di imporglieli, è andato via sbattendo la porta».

Altra memorabile vignette: Fanfani che, in versione tappo (l'altezza non eccelsa era il suo tallone d'Achille ndr), salta dalla bottiglia di champagne del «No» referendario sul divorzio.

«Quella fece il giro del mondo. Ma, a onor del vero, pare che Giorgio l'abbia rubata a un tipografo che commentò la disfatta del Sì referendario (di cui Fanfani era capofila) con la frase: Questa volta salta il tappo!».

Ma Giorgio si è mai pentito di una vignetta?

«Nel caso del suicidio di Raul Gardini certamente sì».

Nel 2006 anche una parentesi al Giornale.

«Del Giornale ha un'ottima considerazione ed è tra i quotidiani che legge con più piacere».

In un'intervista ha detto: Se avessi la forza di andare al seggio, voterei per Berlusconi. Ha cambiato l'Italia e ho di lui un ricordo simpatico. È sincero o si tratta di una sottile presa per i fondelli?

«Credo sia sincero, anche se poi la collaborazione col Giornale non finì nel migliore dei modi».

Motivo?

«Una vignetta su Berlusconi un po' troppo osé».

Non solo vignette nella vita di Forattini, ma tanti altri lavori: rappresentante di commercio, venditore di elettrodomestici, produttore discografico. E il sogno irrealizzato di diventare attore.

«Da giovanissimo sgobbava per conto del padre che aveva un'azienda di pompe di benzina. Quando decise di sposarsi, appena 22enne, il papà lo punì facendogli svolgere mansioni umili. Lui se ne andò di casa arrangiandosi in mille modi. Senza dimenticare gli studi: architettura, giurisprudenza, una cultura versatile».

E la storia del «flirt» con la Loren, «collega all'Accademia di teatro», è vera o è una bufala?

«La Loren, stizzita, ha smentito dicendo che lei non poteva essere stata una collega d'accademia di Giorgio, visto che è più giovane di lui di 4 anni. Mio marito invece conferma. Ma, forse, al massimo, ci sarà scappato un bacetto».

Mi spiega il segreto dei quadri che riempiono la casa da cima a fondo?

«L'amore per la pittura lega a doppio filo me e Giorgio. Lui in gioventù ha frequentato l'Accademia di pittura. È lì ha capito che sarebbe diventato un vignettista».

In che senso?

«Nelle lezione di ritratto i suoi volti si trasformavano, ineluttabilmente, in caricature. Un segno del destino».

Ma qui in casa appesa al muro non ce neppure una caricatura.

«Vero. Sono tutti quadri classici che Giorgio ha acquistato compulsivamente in giro per il mondo. È più forte di lui: ogni volta che esce, poi torna con un dipinto sotto il braccio. Abbiamo tele di valore, ma anche opere acquistate al mercatino».

Isolato in salotto, su un apposito cavalletto, c'è una tela antica. Raffigura un bel signore in posa cogitabonda: capelli bianchi e occhi azzurri. È Forattini?

«No, ma è il suo sosia. Quando l'abbiamo visto, siamo rimasti folgorati. Da allora fa parte della famiglia».

Anche lei ha familiarità con i colori: non solo per via del sangue blu che scorre nelle sue vene, ma anche per la parentela col pittore macchiaiolo Francesco Gioli.

«Gioli era il mio bisnonno.

Nella sua villa sulle colline pisane a Fauglia, dove sono nata, di artisti ne passavano tanti: Fattori, Cannicci, Lega. Anch'io in varie fasi della vita ho dipinto. Dicevano che fossi brava. Ma il mio vero capolavoro rimane Giorgio Forattini».

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