Ignazio Mormino
Ipertensione, eterno problema. Da un congresso allaltro, da una scoperta a una sperimentazione clinica, resta una patologia preoccupante: soprattutto perché la metà degli ipertesi non si cura. «Sembra incredibile ma il sintomo più grave contro il quale dobbiamo lottare è il disinteresse», afferma il professor Cuspidi, cattedratico nelluniversità di Milano-Bicocca.
Cuspidi, responsabile del Centro ipertensione del policlinico di Monza, è stato allievo prima del professor Bartorelli, poi del professor Zanchetti. Con entrambi ha percorso tutti i sentirei (anche i più impervi) dellipertensione arteriosa, per moltissimi anni considerata più che una malattia, un sintomo. «Luomo che comprese per primo tutti i problemi dellipertensione fu Cesare Bartorelli. Nel 1964 il mio maestro ospitò a Siena (dove allora insegnava) un congresso internazionale e invitò il professor Freis, americano, a presentare i risultati duno studio controllato condotto su 400 ipertesi. Lo studio, pubblicato qualche anno dopo su «Jama» dimostrava che il gruppo trattato con farmaci ipotensivi (diuretici e antiadrenergici) presentava, rispetto al gruppo placebo, una fortissima riduzione di eventi drammatici, in particolare dellictus cerebrale e dellinfarto del miocardio».
Il professor Cuspidi riconosce quindi allindimenticabile maestro il ruolo di pioniere («in Italia e in Europa»). Lo conferma il ruolo che tutti i suoi allievi hanno avuto a livello internazionale negli studi sullipertensione.
Passiamo ora dalla teoria alla pratica. Oggi in Italia ci sono più di 15 milioni di ipertesi. Quelli che si curano sono poco più di 5 milioni. Quasi tutti hanno un obiettivo minimo: il ritorno a valori pressori normali». Questo è un errore grave - precisa Cuspidi - perché, se si interrompono le cure, la pressione arteriosa può risalire in tempi brevi e raggiungere livelli allarmanti, che aprono la strada a gravi complicazioni». Lictus cerebrale è, umanamente e statisticamente, la complicazione più frequente e devastante. Al secondo posto cè linfarto acuto del miocardio, al terzo unarteriopatia periferica. Il nostro interlocutore riconosce che i progressi maggiori sono stati fatti nella terapia dellinfarto e non in quella dellictus. Chi smette di curarsi, quindi, rischia linvalidità o addirittura la morte. Sul piano terapeutico, oggi si punta su unassociazione di farmaci: un diuretico a piccole dosi più un sartanico (o un ace-inibitore). Sono rimedi efficaci e ben tollerati, che garantiscono risultati eccellenti. Linvecchiamento della popolazione impedisce di considerare vittoriosa la guerra condotta con grandissimo impegno contro le patologie cardiovascolari.
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