"In Irak la strategia di Bush sta funzionando"

Il generale Petraeus ottimista sul ritiro delle truppe: entro luglio del prossimo anno sarà possibile una consistente riduzione. Il responsabile delle forze Usa e l’ambasciatore americano relazionano il Congresso sulla situazione a Bagdad: "Obiettivi militari in gran parte raggiunti". Pesanti accuse all’Iran: "Addestra e sostiene gli estremisti sciiti"

"In Irak la strategia di Bush sta funzionando"
Washington - George Bush aveva espresso l’altro giorno una convinzione e un auspicio: che il generale David Petraeus «riuscirà a “vendere” meglio di me la nostra posizione». Il presidente americano è stato esaudito: nella sua attesa relazione al Congresso, Petraeus ha confermato e sostenuto (come del resto era atteso) la strategia della Casa Bianca in Irak, e soprattutto ha «incarnato» in cifre e diagrammi la propria fiducia, il proprio giudizio positivo sui risultati della «operazione Surge» da lui condotta.

Ha enumerato i successi, li ha spiegati nella luce più favorevole, ha fornito dettagli. Ha parlato da militare e da competente, anzi soprattutto da «generale politico» quale egli è, teorico dell’antiguerriglia, attento più di molti suoi colleghi alle sfumature delle parole. Il bilancio che Petraeus ha tracciato contiene numerose riserve sul piano politico, ma su quello militare è il consuntivo di un successo.

Sul futuro, immediato e lontano, Petraeus è stato più cauto, ma soprattutto abile, nel bilanciare gli annunci e le intenzioni. Non ha rifiutato, come alla vigilia gli era stato attribuito da alcuni, il ritiro di truppe americane dall’Irak. Anzi, il primo reparto (un’unità di marines) farà le valigie entro questo mese, e un altro (una Brigata di combattimento) entro dicembre. Un processo, questo, destinato a continuare l’anno prossimo con una «riduzione di altre otto Brigate e Battaglioni da combattimento» fra il gennaio e il luglio 2008. In quel momento il contingente americano in Irak tornerà ai livelli precedenti alla Surge. Non è prevista invece una data per la riduzione delle forze presenti in Irak prima dell’invio di rinforzi.

Con chiarezza di parole ma con prudente agilità di concetti, Petraeus ha delineato la strategia della Casa Bianca, anche a uso interno. Bush è disposto a riportare a casa i rinforzi perché il rimpatrio può essere attribuito al successo, mentre una riduzione ulteriore sarebbe un segno di debolezza. Una relazione molto articolata, dunque, quella del generale, resa possibile anche dal fatto che Petraeus ha lasciato all’ambasciatore americano a Bagdad Crocket, il compito di aggirarsi nel panorama politico dell’Irak, molto più complesso e meno roseo (tant’è vero che il capo del governo iracheno Al Maliki ha ripetuto ieri che le «forze di sicurezza» al suo comando non sono pronte per esercitare da sole il controllo sul Paese).

Anche i dati, naturalmente, sono stati «selezionati». Petraeus ha parlato molto delle province in maggioranza sunnite e poco di quelle sciite. In questo caso ha parlato genericamente di «milizie», mentre dalle sue parole parrebbe che Al Qaida fosse la principale forza militare sunnita.

Ha ricordato con molti dettagli quello che finora è stato il più importante successo politico-militare dell’America in Irak, e cioè la recente mobilitazione delle entità tribali sunnite (particolarmente nella provincia dell’Anbar) contro i terroristi stranieri da tempo infiltrati nelle loro terre, e ha citato la diminuzione delle violenze e dei «crimini settari» a Bagdad, glissando su una delle cause, che è la riuscita della «pulizia etnica» delle milizie sciite con l’appoggio di reparti dell’esercito e della polizia, in alcuni quartieri della capitale da cui i sunniti sono stati ormai completamente espulsi, cosa che ha fatto declinare, naturalmente, scontri e combattimenti.

Il relatore militare, oltre che su Al Qaida, si è concentrato sulle minacce e responsabilità «della Siria e soprattutto dell’Iran», che sostiene e addestra i gruppi estremisti sciiti che operano in Irak.
Petraeus è stato duramente contestato, prima e dopo la sua deposizione, dalla leadership democratica in Congresso.
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