Chi ci capisce qualcosa è bravo. Stiamo parlando di quel che dicono Romano Prodi e Tommaso Padoa Schioppa sui conti pubblici. Prima cominciarono Prodi e compagni in campagna elettorale: l'Italia andava malissimo e il bilancio dello Stato era a pezzi. George W. Bush l'avrebbe chiamato attacco preventivo. Poi, in coppia con l'ex banchiere europeo, neanche il tempo di posare le terga sui rispettivi scranni, hanno cominciato a stracciarsi le vesti per giorni e giorni. I conti sono allo sfascio. Così male non si andava dal '92.
Due giorni fa è arrivato il debutto di Mario Draghi, nuovo governatore della Banca d'Italia, con le sue prime Considerazioni finali. Ha detto che ci vuole una manovra da 2 punti di Pil, 28 miliardi di euro. Prodi si è detto d'accordo.
Ieri c'è stato il Consiglio dei Ministri e il ministro dell'Economia, lo stesso Padoa Schioppa di due giorni fa, ha detto che della manovra per ora non c'è bisogno e che basterà applicare con rigore la norma antideficit già presente nella Finanziaria, l'ultima di Tremonti, per intenderci: proprio quella norma, diciamo quel meccanismo, per il controllo della spesa del quale Prodi aveva detto peste e corna.
Riepilogando. O il buco non c'è e non siamo alla tregenda, tant'è vero che basta la norma Tremonti (già Siniscalco) e allora sono stati irresponsabili prima a gridare allo scandalo. Oppure, e non sappiamo se questa seconda ipotesi sia peggiore o migliore della prima, il problema c'è e allora sono irresponsabili ora a non fare quello che devono.
Ma c'è anche una terza ipotesi: è vera la prima, e cioè non siamo in quella situazione che hanno descritto in campagna elettorale; è vera la seconda, e cioè il problema c'è (come c'è stato negli anni scorsi a causa della scarsa crescita). Ma, detto tutto questo, né il professore di Bologna, né il banchiere di Bruxelles, sanno che fare perché, anche se lo sapessero, non lo possono fare. Non glielo farebbero fare i loro alleati.
Tra l'altro, sia ricordato così - en passant - bisogna anche non dimenticare che ai 28 miliardi che ha detto Draghi bisogna aggiungere i 9 miliardi che costa il famoso, e fumoso, taglio del cuneo fiscale. Totale: 37 miliardi di euro. Con Rifondazione comunista e i Comunisti italiani al governo, fare una manovra di queste dimensioni, è un po' dura. Draghi ha anche detto che non bisogna toccare l'età pensionabile: dal 2008 si va in pensione a 60 anni. Il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ha detto che bisogna pensarci bene e discuterne con le parti sociali. Si comincia a discutere fra un po'. Poi c'è l'estate, poi arriva il Natale. Chissà se per fine 2007 la discussione sarà portata a termine. Ci vuole calma. Mentre a Palazzo Koch si fa di conto, a Palazzo Chigi si discute.
Prodi e compagni - Rutelli in testa -, per tutta la campagna elettorale, ci hanno ripetuto, fino all'inverosimile, che il governo Berlusconi aveva scaricato sugli enti locali buona parte del peso delle finanziarie e che questo era ingiusto. Ieri il governo ha fatto sapere che ci sarà una nuova regola: nelle regioni che non chiuderanno il bilancio della sanità in pareggio sarà aumentata l'Irap (la tassa che l'Unione Europea ha bollato come illegale). Le regioni sono: Campania, Liguria, Lazio, Sicilia, Abruzzo e Molise. Evidentemente non si tratta del Nord. Quelle «povere» regioni che la riforma federale avrebbe punito, discriminandole. Non c'è la Puglia. E la ragione è che il governatore di centrodestra, Raffaele Fitto, fece una riforma della Sanità rigorosa, tanto che fu elogiata persino dal professor Francesco Giavazzi, il noto editorialista del Corriere della Sera.
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