In Italia la Cina del falso: migliaia di clandestini e bimbi schiavi al lavoro

Il sottosegretario al Lavoro: «È una realtà sconvolgente»

Stefano Zurlo

da Milano

Centinaia di capannoni sparsi per la penisola. Dentro, centinaia di cinesi intenti a produrre un po’ di tutto: mobili, prodotti tessili, pellame. L’operazione Marco Polo, gestita dal ministero del Lavoro in tandem con l’Arma dei carabinieri, porta a galla una piccola Cina clandestina che sforna il made in Italy a prezzi stracciati e a ritmi terrificanti: 24 ore su 24. Saltando tutte le regole del gioco e drogando la concorrenza.
I lavoratori, ridotti in condizioni igieniche pietose e privi non solo della minima tutela sindacale ma anche di un’identità ufficiale, non uscivano mai dalle fabbriche e non si fermavano mai: gli operai non si sono arresi nemmeno davanti ai carabinieri e agli ispettori del ministero. Roberto Rosso, sottosegretario con delega per l’attività ispettiva e regista della grande indagine, lancia l’allarme: «La realtà che abbiamo scoperto è sconvolgente. Non solo i cinesi copiavano il made in Italy ma riproducevano il loro sistema industriale nel nostro Paese». Detto in soldoni, è come se un pezzo di Estremo oriente fosse salito su un tappeto volante per atterrare poi in Lombardia, Lazio, Piemonte,Toscana, Veneto.
L’operazione Marco Polo era stata anticipata, prima dell’estate, da un’altra indagine. Ma allora i numeri erano molto più modesti. Oggi lo scenario che si delinea è impressionante: circa 1.200 lavoratori sui 3.600 controllati sono cinesi clandestini. «È il sistema Cina - rincara la dose Rosso - clonato in Italia».
Le immagini girate dagli investigatori sono angoscianti: gli operai stavano chini sui loro attrezzi giorno e notte; per dormire si trinceravano in tramezzi di carton gesso, ricavati all’interno degli stessi capannoni. Lì sfornavano a prezzi stracciati e con una buona dose di approssimazione magliette, jeans, cinture, salotti, elaborati secondo il fuso orario di Pechino. Lì, ed è l’aspetto più vergognoso, venivano segregati anche alcuni bambini: sono venti i minori sorpresi nella «filiera» con gli occhi a mandorla.
E ora a Roma si pongono una domanda inquietante: esiste addirittura un’organizzazione in grado di esportare nel nostro paese la manodopera prelevata negli slum di Pechino o di Shangai? Certo, ci vuole prudenza, gli accertamenti sono ancora in corso ed è difficile generalizzare: i numeri però sono imponenti. Al ministero si sottolinea con orgoglio che questa è la più importante offensiva contro il lavoro nero in Europa negli ultimi dieci anni.
«Faccio notare - aggiunge polemicamente Rosso - che i governi di centrosinistra avevano di fatto smantellato l’attività degli ispettori.

Ora questo governo dà una risposta forte al dramma del lavoro nero e della concorrenza sleale, parola che in questo caso suona perfino riduttiva». Soprattutto, l’operazione Marco Polo può essere il punto di partenza per riflettere senza rete sulla globalizzazione più selvaggia.

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