Ero solo, nel millennio scorso (veramente tale, per i mutamenti e nella percezione del nostro tempo in qualsiasi tema) a difendere il paesaggio da una aggressione che si sarebbe rivelata più letale della speculazione edilizia in tante grandi e piccole città, avviluppate mostruosamente in periferie scabrose che agitarono a tal punto Pier Paolo Pasolini da contrapporre nel 1974 a Orte, nella sua perfezione contaminata da alcuni nuovi condomini, una città di fondazione fascista, ma identificabile nelle sue ragioni urbanistiche, come Saubadia: «Io ho scelto una città, la città di Orte, ho scelto come tema la forma di una città, il profilo di una città. Io ho scelto un'inquadratura che prima faceva vedere soltanto la città di Orte nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta, assoluta... basta che io muova questo affare qui, nella macchina da presa, ed ecco che la forma della città, il profilo della città, la massa architettonica della città, è incrinata, è rovinata, è deturpata da qualcosa di estraneo, che è quella casa che si vede là a sinistra. La vedi?».
E, per converso: «Ho scelto Sabaudia come luogo dello spirito per i miei riposi forzati e le mie ansie di lavori futuri, sogni furiosi che mi tengono ancorato al mondo. Eccoci di fronte alla struttura, la forma, il profilo di una città immersa in una specie di luce lagunare, benché intorno ci sia una stupenda macchia mediterranea (...). Quanto abbiamo riso, noi intellettuali, dell'architettura del regime, sulle città come Sabaudia (...). Eppure adesso questa città la troviamo assolutamente inaspettata (...). Sabaudia, benché ordinata dal regime secondo certi criteri di carattere razionalistico, estetizzante, accademico, non trova le sue radici nel regime che l'ha ordinata ma trova le sue radici in quella realtà che il fascismo ha dominato tirannicamente, ma che non è riuscito a scalfire. Cioè: è la realtà dell'Italia provinciale, rustica, paleoindustriale che ha prodotto Sabaudia, non il fascismo. Ora, invece, succede il contrario. Il regime è un regime democratico, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente ad ottenere, il Potere di oggi, quello della civiltà dei consumi, riesce ad ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l'Italia aveva prodotto in modo storicamente molto differenziato. Questa acculturazione sta distruggendo in realtà l'Italia. Allora io posso dire senz'altro che il vero fascismo è proprio questo Potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l'Italia. Questa cosa è avvenuta talmente avvenuto tutto in questi ultimi cinque, sei, sette, dieci anni. È stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l'Italia intorno a noi distruggersi e sparire. Adesso, risvegliandoci forse da quest'incubo e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c'è più niente da fare».
È un grido di dolore, estremo, tremendamente profetico, oltre il quale c'è solo la pervicacia di chi ha portato a compimento questo disegno catastrofico. Non sembrava possibile riuscire a fare peggio di ciò che accade in Italia dopo le distruzioni della guerra. Costruzioni che furono peggio delle distruzioni. E invece, perdurante la violenza alle città, è lentamente e inesorabilmente iniziata l'aggressione, ignota e imprevedibile a Pasolini, alle campagne, alle aree agricole, al mondo contadino, devastandone le secolari coltivazioni. E, fino a oggi, prevalentemente nelle regioni meridionali: la Sicilia, la Puglia, la Calabria, il Molise, esposte alla facile disponibilità della politica alla criminalità. Ma già l'Abruzzo è aggredito e l'onda sale anche verso la Toscana e la Romagna. Si ferma solo al confine del Trentino che difende con determinazione la sua autonomia, e rivendica le miracolose produzioni di vino e di mele. Troppo tardi se ne accorgono ora in Sicilia.
Da Goethe sempre si parte. È lui, nel suo Viaggio in Italia, a scrivere: «Non è possibile formarsi un'idea giusta dell'Italia senza aver visto la Sicilia: qui sta la chiave di tutto». È sempre così. Anche nella impotenza e nella disperazione. Senza rispetto, e senza prudenza, dai tempi dell'autodromo al lago di Pergusa, luogo del mito di Persefone. E non si è finito di infierire. L'orrore è senza fine. Sull'isola, negli ultimi anni si è moltiplicata oltre ogni misura la invasione di gigantesche turbine eoliche e campi fotovoltaici, distribuiti ovunque, sempre sfregiando i paesaggi e i profili delle colline. Fabio Granata e Michele Benfari, presidente e responsabile Paesaggio e Architettura dell'associazione Articolo 9, sembrano accorgersi ora di quello che sta succedendo nella Valle del Belice, ricca di «paesaggi culturali» e «paesaggi naturali». Erano i miei pensieri disperati di Sindaco di Salemi, circondata da pale eoliche in ogni direzione, e in attesa di essere innalzate, mostri di ferro giacenti a terra a mozziconi, verso Mazara del Vallo. Ogni resistenza fu vana.
Ecco, finalmente, le loro tardive riflessioni: «Le caratteristiche uniche dei Paesaggi del Belice e della Sicilia intera oggi sono sottoposte a modifiche che le stanno inevitabilmente snaturando, con l'aggiunta di grandi impianti di produzione di energia eolica e fotovoltaica, peraltro difficilissime da dismettere nel futuro che ci attende. Ma la vicenda del Belice si ripete nel Val di Noto, nel Val di Mazara e in tanti luoghi dell'Anima». Intanto a Mozia si nasconde l'Efebo, vergognoso per ciò che intorno sfigura l'isola e la laguna. A Mazara il Satiro danza isterico e impotente: intorno non riconosce più niente. Devastazione, mitici paesaggi perduti. È un grido, e tale resterà in un deserto di indifferenza.
«Le scelte che qualcuno cerca di imporre avranno conseguenze gigantesche sulla bellezza dei luoghi e sul paesaggio siciliano. (...) Per questo chiediamo una applicazione più rigorosa da parte della Regione dei Piani paesaggistici e una tutela radicale contro scelte che potrebbero, dopo l'Industria chimica, rappresentare sfregi irrimediabili all'ambiente, al paesaggio, all'agricoltura. Si revochino tutte le concessioni per impianti industriali, quasi sempre nelle mani di multinazionali o strutture finanziarie e si punti ai piccoli impianti di prossimità alle imprese agricole siciliane», concludono Granata e Benfari.
Non sarà così, e vedremo per sempre perduta la meraviglia dei luoghi. Neppure Segesta è stata risparmiata. Già si innalzano torri eoliche dietro il tempio dedicato a Dioniso. Sempre Goethe così lo ricorda: «La posizione del tempio è sorprendente: al sommo d'una vallata larga e lunga, in vetta a un colle isolato e tuttavia circondato da dirupi, esso domina una vasta prospettiva di terre».
La bellezza sarà conservata in riserve protette come la valle dei Templi ad Agrigento dove sulle colline, sopra la vegetazione, voltate le spalle alla moderna città, si erge il Tempio della Concordia, in dialogo diretto con il cielo per evocare quegli Dei che se ne sono andati per non vedere ciò che i nostri occhi sono costretti a sopportare.
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