Claudia Koll: "Non mi faccio suora per amore di mio figlio"

Un giovane in affidamento e la cura degli orfani di una missione africana. L'ex attrice di Tinto Brass si confessa: «Sono pentita, ma Dio mi ha riconciliata con il mio passato»

Claudia Koll: "Non mi faccio suora per amore di mio figlio"

Claudia Koll ha compiuto da poco cinquant'anni. Il 17 maggio ha festeggiato in piazza San Pietro «con una quarantina di amici», tutti raccolti «per la canonizzazione di alcune suore». «Sono voluta tornare a San Pietro perché la mia conversione è iniziata lì nel 2000, con il giubileo» racconta l'attrice che, dopo la fama negli anni Novanta (il film di Tinto Brass Così fan tutte è del 1992), il Festival di Sanremo, il ruolo di commissario in Linda e il brigadiere , la «nuova esistenza» cominciata nel 2000 con la conversione e l'impegno religioso, oggi vive la sua «terza vita» come mamma di un ragazzo in affido, Jean Marie, originario del Burundi.

Se si guarda allo specchio, che cosa vede?

«La serenità sul volto, la luce. Mi vedo più luminosa di prima, vedo la gioia nel cuore di avere una vita piena, intensa e ringrazio il Signore perché, se non l'avessi incontrato, la mia vita non avrebbe sapore».

Perché tutta questa gioia?

«È la gioia di fondo nel fare il bene, di sapere che la mia vita non è sprecata, è vissuta».

Di recente ha detto che non diventerà suora perché vuole fare la mamma. È vero?

«Non è proprio così. È da 15 anni che giro il mondo con una missione: annunciare la misericordia e la grazia di Dio. E poi c'è un impegno concreto, l'associazione “Le opere del Padre”, che opera in Africa e soprattutto in Burundi, dove sosteniamo e aiutiamo tanti bambini e tanti orfani, per aiutarli a ritrovare la speranza».

E poi è mamma...

«Sì. Oltre a questo, il Signore mi ha donato un ragazzo, venuto in Italia dal Burundi per essere curato, che poi il tribunale ha affidato a me da quando aveva 16 anni. Oggi ne ha 23. E poi c'è anche l'Accademia di recitazione, dove mi occupo dei ragazzi. Insomma ho una vita piena nel mondo: prendere i voti ed entrare in convento non è la scelta che il Signore mi ha chiamato a fare».

Che mamma è?

«Non lo so... Non è stato facile. All'inizio Jean Marie non parlava italiano e rifiutava il cibo. Era in condizioni fisiche gravi, quando è arrivato era irriconoscibile a causa di una insufficienza renale. Ho dovuto combattere anche per farlo mangiare, a volte con la preghiera più che con i rimbrotti. Poi, piano piano si è creata una relazione di fiducia, veniva con me nei miei viaggi, gli facevo le punture sulla pancia, come farebbe chiunque abbia in casa un malato. Piano piano però».

E oggi?

«Ha studiato dai salesiani per diventare cuoco, perché ama cucinare. Ora cerca lavoro. Siamo una famiglia normale, ecco, quando parto rimane a casa da solo ma ha i suoi amici e io mi fido: è un ragazzo solido, sano».

Ma non ha mai pensato di farsi suora?

«Certo, l'ho pensato, però poi ti chiedi: che cosa vuole Dio da me? E la risposta è diversa. Questo non significa che non metta Dio al primo posto nella mia vita».

Quando è iniziata la sua conversione?

«Nel 2000, quando ho passato la Porta Santa. Accompagnavo un'amica che veniva dall'America ed era la mia coach sul set. Poi siamo andate in Puglia per il film e lì, per la prima volta, mi sono trovata di fronte a delle difficoltà che non riuscivo più a gestire: prima ero sempre determinata, sicura, e invece non lo ero più».

Che cosa è successo?

«Per esempio, in una scena drammatica sarei dovuta scoppiare a piangere ma non ce l'ho fatta, il cuore non rispondeva ai miei comandi: si era indurito. E mi sono chiesta: perché? La mia amica mi disse: “Se non c'è verità nella tua vita, come ci può essere nel tuo mestiere?”. E la sera, in albergo, pensai a Gesù, che dice che la verità rende liberi».

E che cosa ha fatto?

«Ho capito che la menzogna mi stava spegnendo dentro. E piano piano ho messo in discussione certi aspetti della mia vita, come il fatto che tutto ruotasse intorno a me, che fossi solo il centro di me stessa».

Quali altri aspetti ha messo in discussione?

«La mancanza di autenticità, e quindi la necessità di compiere scelte più coerenti rispetto all'unità della persona. E poi appunto l'egoismo: ho capito che bisogna pensare anche agli altri e ho cominciato con un ragazzo malato di Aids, ricoverato in un centro della Caritas».

Uno choc?

«Dal mondo patinato del cinema in cui tutto deve essere bello... Lì, con quelle persone ero obbligata a essere vera, erano tutti malati terminali. Un'esperienza forte, come i poveri in Africa: ho visto neonati senza guance, col visino scavato, bambini scheletrici e tutto questo mi ha fatto crescere più di tante parole».

E che cos'altro è cambiato?

«Beh, per esempio non spendo più tanti soldi in vestiti e scarpe. Mi piacciono, ma ho la consapevolezza che non si possa vivere pensando solo a quello».

La conversione è arrivata quando era al successo. Un caso?

«Non credo, anche se fondamentale è stato il passaggio della Porta Santa. Certo è che ho saputo rinunciare a tante cose, perché ne ho anche sperimentato l'inconsistenza: quando avevo davvero bisogno, i soldi e il successo non mi hanno dato le risposte che cercavo, Dio invece sì».

Si è pentita del passato da attrice?

«Ma io continuo a fare l'attrice, anche se non in tv o in tournée: ho ruoli meno visibili, ma non ho smesso».

Ma dei ruoli non proprio «casti» che ha interpretato?

«Certo è chiaro che, se potessi, certi errori non vorrei averli commessi. Qualche giornale di recente ha scritto che non mi sono pentita, ma non può essere: certamente lo sono, altrimenti non avrei mai cambiato vita. Non ci sarebbe stata conversione».

Eh, i giornali...

«A volte pubblicano anche immagini di quell'epoca, e mi dispiace. Oppure vogliono fare credere che la mia vita di oggi sia triste, ma non è così, anzi: è una vita più piena, più intensa. Poi è vero anche che, quando Dio ti perdona, ti riconcilia in qualche modo col tuo passato, ti dice: non rimanere ferma, cammina, guarda avanti».

La sua famiglia è cattolica. I suoi genitori come presero quel film con Tinto Brass?

«Secondo lei? Come potevano prenderlo? Ero già via, fuori di casa, ma i miei genitori hanno continuato per anni a pregare per me, per la mia conversione. E quando è successo davvero, mio papà mi ha detto che lo sperava, ma non immaginava che Dio potesse portarmi a un cambiamento così grande».

Ma quando ha deciso di fare l'attrice?

«Da bambina, a cinque anni. Guardavo i film con mia nonna che non vedeva: io le dicevo che cosa vedessero i miei occhi, lei ascoltava e mi spiegava il film. Ecco, questo stare insieme l'una con l'altra, davanti al film, mi fece capire che l'arte era una strada speciale».

E poi come ha cominciato?

«Mi iscrissi a Medicina come volevano i miei, ma capii che volevo fare altro. Io ho avuto una formazione solida, ho cercato sempre di migliorare nella recitazione. Ho scelto il teatro dopo Sanremo, che è stata una bella esperienza, come Linda e il brigadiere : non è che sia tutto da buttare, tante cose le ho fatte con gioia. Guardi, le devo dire una cosa».

Prego.

«Il film di Brass non mi ha aiutata: sono rimasta due anni senza lavorare. A un certo punto ero arrivata perfino a pensare di iscrivermi di nuovo a Medicina. Mi aveva ostacolato la carriera».

Addirittura?

«Io sognavo il cinema vero, di Bergman... Feci un grosso errore di valutazione: pensai che mi avrebbe fatta conoscere e invece lo impedì, perché tutti si fermarono al mio corpo, e le uniche chance di lavoro erano dello stesso genere. Così mi fermai per due anni, fino a che Baudo mi chiamò al Festival di Sanremo, che mi ha permesso di uscire dall'isolamento».

Si ritiene fortunata?

«Non uso questa parola. Ringrazio Dio perché scrive sulle nostre righe storte, ama l'uomo e, anche se cadi, se c'è lo sguardo rivolto a lui ti prende in braccio e ti risolleva».

Ha detto che non ha tempo per un uomo. Sul serio?

«Nel senso che ho una vita così piena, dedicata agli altri, che non sarebbe giusto fermarla: quella che ho cominciato è una missione e avere un compagno vicino significherebbe dedicargli del tempo ulteriore. E non sono in grado».

Magari nella quarta vita?

«Eh, appunto... No, sinceramente non ci penso».

Perché condivide così tanto con gli altri la sua fede?

«La

nostra fede dipende dalla predicazione, è la volontà di Gesù: “Annunciate il Vangelo”. Sono 15 anni che giro per il mondo: se non fosse la volontà di Dio, la forza non l'avrei più. Troverei un'altra via, un'altra strada?».

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