Lo juventino si paragona ad Achille. Contro il Ghana Lippi sembra intenzionato a schierare il romanista

Franco Ordine

nostro inviato a Duisburg

Domani sera tocca all’Italia. Finalmente. È l’ora, l’ora di lasciare il bunker di Duisburg e di partire per Hannover, sede della prima sfida del gruppo E, e come entusiasmo, e come emozione. A poche ore dal debutto complicato del mondiale più difficile della storia calcistica nazionale, accadono dentro l’accampamento azzurro movimenti di cui dar conto al lettore, patriota e no, specie se a digiuno di studi classici. Dalla collina delle sue riflessioni, ieri mattina è ricomparso tra di noi Alessandro Del Piero. Ha indossato per l’occasione l’armatura simbolica del Pelide Achille e si è presentato, per la prima volta, dinanzi a microfoni e telecamere con il dichiarato intento di rilanciare la propria candidatura. Senza se e senza ma. «Sono più che al 100% della forma» fa sapere dopo aver descritto la propria condizione morale come quella dell’eroe omerico «che infiniti lutti addusse agli Achei», Achille appunto. Invincibile ma con un punto debole, un tallone che qui si può tranquillamente riconoscere nello spunto perso, nel dribbling opaco, nel sentiero smarrito del gol (leggi allenamenti).
L’impressione suggestiva è quella del Del Piero più recente, uomo vero e capace di resistere, con la sua corazza, ai colpi mortali infertigli dalle ripetute sostituzioni di Capello o dai giudizi impietosi dei critici. E di proporsi in modo educato, secondo usi e costumi che appartengono alla nobiltà del personaggio: senza sbattere i pugni sul tavolo, senza censurare un collega-rivale, senza graffiare il ct. «Decida lui, per il meglio», sospira dopo aver affrontato il calvario delle domande su Moggiopoli e sulla Juve macchiata a vita dallo scandalo.
Domani sera tocca all’Italia, finalmente. E mentre Del Piero calza l’elmo di Achille, si fa strada dentro il perimetro di Duisburg, il sorriso contagioso di Francesco Totti con la sua voglia matta di cavalcare l’onda del mondiale. Come fanno i ragazzi della sua età su una tavola da surf, dinanzi all’oceano, negli States. È ormai sicuro il suo utilizzo, a tempo pieno, dall’inizio. Per questo, forse, sono in arrivo da Roma anche i genitori e il fratello. Lippi è convinto di compiere, alla fine, la scelta giusta e di resistere alle stilettate del destino (gli infortuni di Zambrotta e Gattuso: a proposito il primo ha ripreso a correre col pallone, il secondo ha compiuto qualche progresso incoraggiante) senza lasciarsi scombinare i piani tattici e in particolare il lavoro degli ultimi due anni. Con il tridente è arrivato al mondiale, col tridente è pronto a tagliare il nastro, domani sera. Anche se Totti non è ancora il miglior Totti possibile, frenato come appare in queste ore, nella testa più che nei muscoli, dagli effetti viziosi del famoso infortunio di cento e rotti giorni fa, all’Olimpico quando la caviglia fece crac e lui perse ogni speranza di sentirsi re di Roma anche in Germania.


L’unico, reale dubbio dell’Italia che aspetta una infornata di ministri (Melandri), commissari (Guido Rossi) e dirigenti (Petrucci), riguarda Nesta e la sua guarigione da una serie di acciacchi. Il Ct non vuole rischiare la ricaduta, dagli effetti più destabilizzanti. E balla coi suoi pensieri e con in mano la fotografia di Materazzi.

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