"Kafka è un amico sorprendente. E leggere è come fare un film"

L'attore, nelle sale con "Vermiglio", è protagonista del nuovo lavoro di Elisabetta Sgarbi. E domani reciterà il "suo" autore

"Kafka è un amico sorprendente. E leggere è come fare un film"

Tommaso Ragno è nelle sale con il film Vermiglio di Maura Delpero, primo al botteghino dopo aver vinto il Leone d'argento alla mostra del cinema di Venezia e dopo aver ottenuto l'investitura ufficiale per rappresentare l'Italia ai prossimi premi Oscar. Tommaso Ragno sarà anche protagonista del film L'isola degli Idealisti di Elisabetta Sgarbi tratto dall'omonimo romanzo di Giorgio Scerbanenco. La presentazione avverrà alla Festa del cinema di Roma che si svolgerà dal 16 al 27 ottobre. Tommaso Ragno sarà domani a Carpi per leggere Franz Kafka, nell'ambito della Festa del racconto a cura di Leonardo G. Luccone. Insomma, Tommaso Ragno è un attore dai molti volti e con una voce magnetica persino al telefono, come abbiamo avuto modo di sperimentare nel corso di questa intervista.

Partiamo dallo spettacolo. Come mai Kafka? Cosa le piace di Kafka?

«È un autore inesauribile. Potrei rileggerlo per tutta la vita. Elias Canetti ha scritto: Mi dispiace morire perché non potrò più leggere Kafka. Lo capisco davvero. Kafka è un compagno dal quale è impossibile separarsi. Ogni volta che lo affronto cambia il mio punto di vista. All'inizio, lo intendevo soprattutto in chiave tragica. Invecchiando, ne ho capito lo spirito comico. Kafka, quando leggeva il Processo agli amici, ne rideva di gusto con loro. Voglio aggiungere una cosa: io leggo Kafka, ma alla fine è Kafka a leggere in me».

Ma è terribile. Non scava abissi dentro l'attore?

«Anche. Ma c'è un effetto confortante che è legato all'atto di imparare a memoria. Il mandare a memoria non è soltanto necessario, banalmente ma non troppo, per non dimenticare. Ha un'altra conseguenza: incide profondamente, e suscita improvvise scoperte, vere e proprie epifanie. Parole che ho imparato anni prima, all'improvviso riaffiorano, mi sembra di capirle per la prima volta e infine illuminano, tengo a sottolinearlo, non solo il presente».

Vuole dire che Kafka ci parla sempre e parlerà per sempre agli uomini di ogni epoca?

«Kafka è come le piramidi di Luxor o i templi di Agrigento. Appartiene a qualche cosa di molto antico. Paradossalmente la sua inattualità lo rende irriducibile alle contingenze, lo rende eterno. Attualizzare, rendere contemporaneo significa spesso impoverire un grande autore. La distanza siderale di Omero è parte di ciò che lo rende bellissimo, e la bellezza parla all'uomo di ogni tempo. Torniamo per un attimo a Kafka. Prenda gli Aforismi di Zürau».

Sono difficilissimi, cosa vogliono dirci?

«Innanzi tutto ci dicono che un autore davvero potente conserva sempre una parte di mistero. Noi possiamo credere di aver capito, e ne siamo confortati, ma Kafka non voleva certo confortarci, e ogni rilettura ci pone davanti ad aspetti diversi del testo e della vita. Ecco un altro paradosso: a volte più frequenti un autore, più lo fraintendi. È da mettere in conto, e fa parte dell'avventura di confrontarsi con un classico».

Kafka è lo scrittore del senso di colpa...

«Tutto origina dal rapporto con il padre. C'è qualcosa di biblico. Kafka è un vecchio ragazzo, incredibile quante cose abbia capito in poco tempo».

Cosa cambia in un testo letterario quando l'attore lo legge?

«La parola detta è la più potente perché attraversa il corpo. Questo è centrale. Il corpo è il corpo dell'autore, dell'attore e dell'ascoltatore. La parola si fa veramente carne, anche, se vuole, in termini evangelici. È una interpretazione legata al momento, l'attore non può fermarsi e tornare indietro per riflettere, come accade nella lettura mentale. Per questo, non si legge o recita un testo nello stesso modo per due volte di fila».

E come si procede?

«Intanto è fondamentale capire se il testo ha un suono. Non tutti ne possiedono uno. Chi legge deve rapportarsi al ritmo dell'autore, deve seguirlo. Anche la prosa ha una sua metrica, non è una esclusiva della poesia. Il rapporto fra chi legge e la scrittura è fatto di umiltà, nel senso migliore del termine. Io ascolto e riferisco. Per il resto, ci sono analogie col montaggio cinematografico. Io so che devo scalare una montagna, ma non guardo alla vetta, salgo un po' alla volta. Di conseguenza, leggendo e rileggendo ad alta voce scopro come è montato un testo».

Ma che necessità c'è di recitare una pagina di letteratura ad alta voce?

«Tradurre in suono la parola scritta è un bisogno primario. La narrazione ha sempre avuto una dimensione orale, anzi: probabilmente è nata così. Comunque, la narrazione è anche fatta di immagini. Io voglio far vedere il testo al pubblico, attraverso il suono».

Un altro paradosso, sta diventando un'intervista kafkiana.

«Immagini Beethoven sordo, che continua ad ascoltare suoni, nella testa. Il suono delle sinfonie nasce già dentro all'autore. Così le grandi pagine di letteratura: si scrive con un suono in testa. Del resto siamo soliti dire, mentre scriviamo: Non suona bene. Ma l'aneddoto ci insegna un altro paradosso interessante: la voce è anche fatta di silenzio e di silenzi. Anche le pause fanno parte del suono. Sono fondamentali».

Al Festival di Roma sarà presentato L'isola degli Idealisti, il film di Elisabetta Sgarbi tratto dall'omonimo romanzo di Giorgio Scerbanenco. Che film è?

«Non è un giallo, nonostante Scerbanenco. Il set è stata una bella esperienza, molto interessante. La regista è una persona molto curiosa e creativa. Il film è interamente di Elisabetta, e quando dico curiosa, non intendo la curiosità spiccia. No, è una regista profonda e piena di passione. Sono contento di aver potuto dare anche il mio punto di vista».

Attualmente, nelle sale c'è Vermiglio di Maura Delpero, altro film che la vede protagonista. Si aspettava che diventasse un successo anche al botteghino?

«Credo che nessuno se lo aspettasse. Sta accadendo qualche cosa di insolito. Questo film ha solo se stesso e la sua scrittura. Non ci sono star, non ci sono effetti speciali. Mi fa piacere che sia apprezzato il film in sé, a prescindere da chi ci recita. Vermiglio è scritto bene, girato bene e interpretato in modo corale: tre qualità che raramente si trovano nello stesso progetto».

Maura Delpero, Elisabetta Sgarbi: due registe. Un caso?

«Guardi, non è una questione di mode più o meno politicamente corrette. È una realtà: le registe producono, in questo momento, la cinematografia più sorprendente».

Con Vermiglio è partito il passaparola.

«La distribuzione è stata molto accorta, il film è cresciuto piano nelle sale. Poi ha incontrato il pubblico, e questo non era affatto scontato. Stiamo parlando di un film difficile dal punto di vista linguistico, visto che è recitato in parte in dialetto. E racconta un'Italia, il Trentino negli anni della Seconda guerra mondiale, che non si vede spesso.

L'aspetto linguistico, che poteva sembrare un ostacolo, ha funzionato: rende vera la storia. È radicata in un luogo e in un periodo ma il messaggio è universale. Una piccola comunità costretta a cambiare dall'arrivo di un estraneo».

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