Patrizia Rappazzo
Otto metri per 4 tonnellate. Kong è un essere selvaggio, ma innocente che a differenza degli umani non conosce il concetto di destino. Preceduto da una straordinaria campagna pubblicitaria e da una capillare operazione di marketing, arriva in sala King Kong, il film digitale e miliardario, firmato da Peter Jackson e interpretato da Naomi Watts e Andy Serkis che ha dato espressione a Kong attraverso l'applicazione sul suo volto di 128 puntini luminosi collegati col faccione digitalizzato del gorilla. King Kong rappresenta il sogno divenuto realtà del regista neozelandese che da più di 10 anni voleva far rivivere sullo schermo l'ultimo discendente di Kong. Anzi, pare che sia stato proprio il primo film del '33 (diretto da Ernest Beaumont Schoedsack) a far sì che l'autore fosse folgorato dal cinema. E finalmente nel 2004, dopo il successo planetario e le 17 statuette complessive alla trilogia de Il signore degli anelli, la Universal ha affidato al regista la stesura della sceneggiatura. Con Philippa Boyens e Fran Walsh, sue compagne di penna, Jackson ha cercato di mantenere lo spirito originale del primo film. L'intenzione quindi è stata quella di dare alla nuova versione di King Kong - ricca di effetti speciali, curati dalla Weta e girata interamente in studio in Nuova Zelanda, dove è stata ricostruita la New York del 1933 - un taglio realistico, con un'esplorazione psicologica dei sentimenti e delle emozioni dei personaggi che è andata oltre il mitico scontro tra la Bella e la Bestia.
Analisi dell'universo familiare e riflessione sardonica sull'identità, invece, con A history of violence,film diretto da David Cronenberg con un incisivo Viggo Mortensen, accanto all'attrice rivelazione Maria Bello, Ed Harris e William Hurt. Ambientato in una piccola città americana, il film racconta la trasformazioni di un uomo tranquillo divenuto un eroe dei media per aver eliminato due sbandati entrati nel suo locale. Senza false reticenze, Cronenberg, proiettandoci in un'inquietante normalità, forza una scena di elegiaca vita familiare per definire uno spiazzante atteggiamento morale.
Dall'apparente tranquillità alle perfidie femminili. Echi shakespeariani con Memorie di una geisha, il film di Rob Marshall (Oscar per Chicago) la cui scena della piccola e splendida geisha che danza sotto la neve, sta facendo il giro del mondo ed è già un cult. Prodotto da Steven Spielberg, il film è tratto dall'omonimo best seller di Arthur Golden ed esplora, con gli occhi di un occidentale, la straordinaria vita di una geisha. Fiore all'occhiello di questa produzione è senz'altro il cast. Tre donne orientali di straordinaria bellezza, delicatezza e bravura, oltre a un attore come Ken Watanabe (L'ultimo samurai): la protagonista Zhang Ziyi (La foresta dei pugnali volanti, 2046); Michelle Yeoh, amata da Ang Lee e la star cinese Gong Li.
In uscita anche l'ultimo cinepanettone di Neri Parenti, Natale a Miami due storie parallele, scritte e girate su misura per la coppia Boldi - De Sica in odore di separazione; e Ti amo in tutte le lingue del mondo, riflessione semiseria sul tema dell'amore e dello scontro generazionale, firmato da Leonardo Pieraccioni che dopo Il Paradiso all'improvviso si rigetta nella mischia natalizia con un'uscita a tappeto in circa 450 sale.
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